Renato Serra

1884-1915

Studente a Bologna

Renato Serra si iscrive giovanissimo - a sedici anni non ancora compiuti - alla facoltà di lettere dell'Università di Bologna, nell'ottobre del 1900. Le sue prime impressioni sono di smarrimento, nostalgia, solitudine:

Si vive così, in mezzo al frastuono di una città grande e alla giovanile tumultuosa popolazione di un'università, più solitari, più isolati abbandonati, che non in una campagna deserta.

Pian piano si ambienta. Dopo un po' dichiara di trovarsi benissimo a Bologna, ma appena può scappa a Cesena, a volte cavalcando l'amata bicicletta lungo la via Emilia. Ritorna volentieri in famiglia, ha nostalgia delle passeggiate nei campi.

Divide una camera in via Belle Arti con il cesenate Gino Giommi, studente di legge e suo amico dal ginnasio. Questi testimonia che Renato scrive "fra le montagne di carta, dei pezzi e pezzettini di carta finissimamente scritti, di pensieri, di notizie, di impressioni".

Alla mamma comunica i progressi negli studi e il desiderio di seguire alcune lezioni. Quelle di Carducci - che all'inizio giudica "debolissimo di pensiero e di critica", ma presto impara ad apprezzare e ne subisce il fascino - gli danno "un intenso diletto".

Nell'autunno del 1901 la salute del professore sembra molto migliorata ed egli spera che possa continuare a lungo "a far delle lezioni così belle come ha cominciato". Intanto assiste anche ai corsi di Gandino, Puntoni, Acri e a quello di grammatica greca e latina di Albini, che non è obbligatorio, ma "è, per gli insegnanti futuri, assai utile".

Frequenta anche la palestra della Virtus, dove vede fare "delle bellissime cose". Si propone di imparare "il salto a fioretto e il passaggio (chip-sanguettola)" e nel frattempo si allena ai manubri, sollevando chili di pesi "collo scatto" e di forza.

Dopo l'ora quotidiana trascorsa in palestra, va a riposarsi in qualche caffè: fa una partita a carte, che a volte diventano due, tre ... proseguono per tutta la notte.

Si lascia prendere da quella passione devastante che lo accompagnerà per sempre e sarà la maledizione, il tormento di tutta la sua vita.

Il vizio del gioco d'azzardo lo rende "centrifugo alla norma e alla periodicità dei programmi di studio". Frequenta i corsi in modo più saltuario, salta le lezioni, soprattutto quelle della mattina. Chiede prestiti agli amici e alla famiglia, racconta bugie, che presto la madre, molto attenta, molto affezionata al figlio (affetto peraltro ricambiato), non tarda a scoprire.

Nella solitudine della iniziazione alla libertà tipica del mondo universitario, e nella nuova disposizione delle compagnie, la mentalità di Serra cominciò a mutare rispetto a quella del virtuoso ragazzo cesenate, e gli impose un altro stile di vita, più psicologicamente mosso e avventuroso ... con esiti che furono sul piano della vita pratica rovinosi (Biondi).

Per procurarsi libri, che non sempre trova nelle "maledette" biblioteche pubbliche bolognesi, si serve della biblioteca circolante Brugnoli, in via Clavature, dove ha un conto assieme all'amico Ambrosini, anch'egli iscritto a Lettere.

La negligenza nella frequentazione dei corsi è compensata dalla memoria prodigiosa e dall'abitudine a leggere avidamente. Gli esami proseguono con risultati alterni: nell'estate del 1903 supera con successo quello di Carducci. Scrive alla madre:

Esco ora dall'esame d'Italiano che è andato benissimo, ho preso 30 e lode. Carducci è stato contentone specialmente del lavoro e io anche di più. Era la cosa che mi potesse far più piacere in questi esami.

"Di placido e signorile aspetto nella sua bella e alta persona", Serra riesce tra l'altro a placare il Professore, che quel giorno, molto irritato, mandava via uno studente dietro l'altro:

Severino, in quel disperato momento, prese per le braccia Renato e gli disse: "Vai tu, vai tu". E Renato andò, entrò. Dentro, ora, tutto silenzio. Ogni tanto la voce di Renato, ogni tanto la voce di lui. Renato esce. I compagni gli si fanno incontro. "Mi ha dato la lode". E gli esami seguitarono in pace.

I suoi, in seguito, vanno meno bene: strappa un 26 in quello di filosofia con Acri, mentre agli esami di storia confessa di aver fatto "una figura da perfetto imbecille", anche per colpa di quel "mostro" di Brizio, temuto professore di storia antica.

Nell'estate 1904 prepara la tesi di laurea, sui Trionfi di Petrarca. Il lavoro è portato a termine brillantemente in pochi giorni, anche grazie allo stimolo di alcuni professori, che si attendono molto da lui.

Quanto alla mia tesi, m'è riuscita oltre la speranza; dopo averla lasciata dormire per tutte le vacanze ripresi il lavoro e ne stesi la bozza negli ultimi venti giorni di settembre, con l'intendimento di non far nulla più del necessario a conseguire la laurea; non male del tutto, se bene non si poteva.

La legge in anteprima a Severino Ferrari e lui è entusiasta: nonostante le precarie condizioni di salute - migliori comunque dell'anno prima - il professore si fa raccontare tutta quanta la "tantafera" e scuote la testa per la meraviglia. Serra gli chiede chi potrebbe essere il relatore e lui risponde sicuro:

"Ma chi vuoi che la possa giudicare altro che il Carducci? E' lui solo in Italia che sa queste cose...".

Il Maestro, però, è appena andato in pensione e il compito passa a Federzoni. Ferrari allora si preoccupa di avvertirlo, in modo che sia preparato "a trovar la tesi buona". Intanto però Serra non nasconde la sua delusione nelle lettere alla madre e agli amici:

La mia tesi è andata a finire nelle mani di Federzoni; e più che tutto non potrò adempiere il mio desiderio di prendere la laurea da Carducci: sarà forse una sciocchezza, ma mi dispiace assai.

Un giorno non troppo lontano Serra scriverà un saggio molto severo sulla poesia di Severino Ferrari, facendo però sentire l'affetto e la gratitudine per "l'ombra presso il corpo" del sole Carducci, "che non può stare senza questo e non si può capire".

Manara Valgimigli ha scritto:

(Serra) fu del Carducci e di Severino l'ultimo scolaro: il più disposto di tutti a sentire quell'amicizia, quella reverenza, quella religione; e colui che, meglio di tutti, codesti sentimenti accolse nel proprio spirito e in un suo modo li illuminò e teorizzò unificandoli nella espressione [religione delle lettere n.d.r.] ormai divenuta comune.

La religione delle lettere è per Serra carduccianesimo ortodosso: "la tradizione, la conversazione e comunione coi grandi del passato, il senso, il gusto e la gioia della parola, la sapienza tecnica, il segreto degli iniziati". Ma è anche, come capì Panzini, un'altra cosa:

È gentilezza di vita, candidezza di cuore, malinconia, moralità. C'è anche, e prima di tutto e in cima a tutto, la poesia; ma la poesia in relazione a sue esigenze e sensibilità personali.

La religiosità verso i classici va comunque scemando: “nel presente si deve registrare una loro sconsacrazione e secolarizzazione” (Battisitini) e Serra, “acutissimo sociologo della letteratura”, è tra i primi e più lucidi interpreti di un cambiamento epocale: “il passato non si considera più un repertorio di luoghi topici di cui nutrirsi, ma il prodotto di uomini nei quali si può cogliere il bello come il brutto, il buono come il cattivo”.

La vita in breve

Renato Serra nasce a Cesena nel 1884 in una famiglia benestante di tradizione risorgimentale. E' iscritto presso il Regio Liceo Ginnasio "Vincenzo Monti" di Cesena, dove conclude gli studi a sedici anni non ancora compiuti senza la necessità di sostenere l'esame di maturità, per via degli altissimi voti ottenuti.

Nel 1900 si iscrive alla facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Bologna, dove ha come insegnanti Giosuè Carducci, Severino Ferrari, Francesco Acri e Giovanni Battista Gandino. Qui diventa ammiratore delle idee socialiste di Ferrari e si laurea nel 1904 con una tesi sullo stile dei Trionfi di Petrarca.

Nel 1905 frequenta a Roma il corso per allievi ufficiali ai Prati di Castello, da cui è licenziato come sottufficiale. Nel 1906 fa ritorno a Cesena ed entra col grado di sottotenente nel 69º Reggimento Fanteria della Brigata "Ancona".

Nel 1907, dopo alcuni giorni di insegnamento al Collegio Ungarelli di Bologna, si trasferisce a Torino, dove collabora con l'amico Luigi Ambrosini alla stesura di un dizionario di latino per la Ditta Paravia. In novembre si iscrive a Firenze al R. Istituto di Studi Superiori per il perfezionamento in italiano. Nel 1908 è nominato insegnante di italiano nella Scuola normale femminile di Cesena.

Scrive articoli letterari per la rivista "La Romagna" e inizia a collaborare alla "Voce", entrando in rapporti con Giuseppe Prezzolini e Giuseppe De Robertis. Avvia anche una corrispondenza con il filosofo Benedetto Croce.

Nel 1909 ottiene l'incarico di direttore della Biblioteca Malatestiana di Cesena e della Biblioteca Piana. Nel 1910 pubblica su "La Romagna" un saggio su Alfredo Panzini, inaugurando l'attenzione della critica su questo ragguardevole autore romagnolo. Con lui avvia anche una sincera e duratura amicizia.

Tradizionalista e nazionalista, rimane legato al modello culturale del maestro Carducci, dal quale ha appreso l'amore religioso per la poesia, la "religione delle lettere", fino alla sua partenza per la guerra come volontario. Durante il conflitto scrive l'Esame di coscienza di un letterato, considerato uno dei capolavori della letteratura italiana del ‘900.

Giunge al fronte il 5 luglio 1915, convalescente di un grave incidente automobilistico. Viene inquadrato come tenente e comandante di compagnia nell'11º Reggimento Fanteria della Brigata "Casale". E' sul Podgora durante la seconda e terza battaglia dell'Isonzo e il 20 luglio 1915 rimane ucciso in combattimento.

  • Andrea Battistini, La cultura letteraria tra classicismo e avanguardia, in: ... E finalmente potremo dirci italiani. Bologna e le estinte Legazioni tra cultura e politica nazionale 1859-1911, a cura di Claudia Collina, Fiorenza Tarozzi, Bologna, Editrice Compositori - Istituto per i Beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna, 2011, pp. 197-198
  • Cultura e fascismo. Letteratura, arti e spettacolo di un ventennio, a cura di Marino Biondi e Alessandro Borsotti, Firenze, Ponte alle Grazie, 1996, p. 76
  • Il mondo in un paese. Luoghi e personaggi dell'Emilia-Romagna, illustrazioni Sergio Tisselli, Bologna, Regione Emilia-Romagna, 2012, pp. 10-11
  • Giovanni Pacchiano, Serra, Firenze, La nuova Italia, 1970, p. 5
  • Giuseppe Raimondi, L'arcangelo del terrore, Milano, A. Mondadori, 1981, pp. 81-85
  • Renato Serra, Le lettere, la storia. Antologia di scritti, a cura di Marino Biondi, Cesena, Il Ponte Vecchio, 2005, pp. 21-22
  • Renato Serra, Severino Ferrari, in: Scritti di Renato Serra, a cura di G. De Robertis e A. Grilli, Firenze, F. Le Monnier, 1938, pp. 149-178
  • Viola Talentoni, Vita di Renato Serra, Ravenna, Edizioni del Girasole, 1996, pp. 52-64
  • Manara Valgimigli, Uomini e scrittori del mio tempo, Firenze, Sansoni, 1965, pp. 95-96, 293-294
  • Sergio Zavoli, I giorni della meraviglia. Campana, Oriani, Panzini, Serra e i giullari della poesia, Venezia, Marsilio, 1994

Internet

 

Luoghi
  • Palazzo Poggi - Università degli Studi via Zamboni, 33
  • Giardino Martinetti - Collegio Ungarelli via San Vitale, 56
  • Biblioteca circolante Brugnoli via Castiglione, 5
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