Ombre e figure: nell'officina di Longhi

Mi rifaccio ai primi traumi ammirativi, subiti di fronte alla sequenza di immagini della pittura trecentesca bolognese che Longhi faceva passare sullo schermo, rivelandoci, con la sua parola penetrante e ineguagliabile, il tesoro di una grande tradizione locale, che stava forse dentro di noi, ma oscura come qualche cosa di subconscio, quasi di prenatale.

(F. Arcangeli, Uno sforzo per la storia dell'arte, Parma, Monte Università, 2004, p. 33)

 

Ho assistito a qualcuna di quelle lezioni che Longhi teneva in una lunga, stretta aula poco illuminata, dotata di una doppia fila di scomode panche che davano l'impressione di provenire da qualche chiesa. Su di un palchetto posto all'ingresso, una lanterna magica proiettava le immagini sul telone bianco che ricopriva quasi tutta la parete di fondo. Vi scorrevano strane scene religiose, arcane storie civili, battaglie cruente, Madonne in atteggiamento un po' scomposto ma docilmente casalingo. Longhi, affascinante, con quel suo caratteristico modo di parlare lento, pacato, inciso, un po' nasale, con una lunga pertica indicava le movenze delle figure, analizzava i rapporti delle attribuzioni, accennava ad arrischiati ma interessanti paragoni con l'arte moderna. Penetrava magistralmente nel segreto dell'opera, mettendo in luce i sentimenti e la grandezza dei valori.

(P. Mandelli, Via delle Belle Arti, Argelato, Minerva, 2002, p. 161)