Palazzo Pizzardi - Ferrovie dello Stato

via D'Azeglio, 38

Il solenne Palazzo Pizzardi rigurgitava di sinistrati e di sfollati. Alcuni, ferrovieri-contadini, addirittura vi si erano rifugiati con animali domestici e mucche. Dai muri sbucavano fuori tubi fumanti: uno, lunghissimo, sporgeva orizzontale fino ad appoggiarsi all'unica palma rimasta al centro del giardinetto gonfio di mucchi di letame e spazzatura. Altri tubi, nell'atrio a colonne affumicavano persino le natiche dei Centauri Settecenteschi. Le statue sembravano smarrite in quel caos. Dai sotterranei salivano muggiti di mucche e grugniti di suini.

(R. Forni)

Il cinquecentesco palazzo senatorio della famiglia Legnani, arricchito nei secoli seguenti da uno scalone monumentale e da due statue di centauri dello scultore Petronio Tadolini nel cortile, fu acquisito nell'800 dalla famiglia Pizzardi. Il marchese Luigi fu il primo sindaco di Bologna dopo l'Unità e fece sistemare un salone dedicato al Risorgimento con "opere grandiose di pittura e sentimento italiano", affidate ad artisti emergenti dell'Accademia, quali Alessandro Guardassoni, Antonio Puccinelli, Luigi Busi e altri.

Nel corso del secolo il salone accolse mostre d'arte, conferenze e concerti. La prestigiosa Società del Quartetto vi tenne le sue prime riunioni. Nel 1868 nel sottosuolo del palazzo vennero recuperati resti di tubature in piombo di grandi dimensioni, in seguito riconosciuti come parti dell'acquedotto romano d'Augusto. Nel 1870 il grande edificio venne ristrutturato all'esterno dall'ing. Antonio Zannoni e nel 1887 passò in proprietà alla Società Italiana per le Strade Ferrate Meridionali. Dal 1913 ospitò la sede direzionale del Compartimento ferroviario di Bologna.

Barba Piero a palazzo

Piero Jahier, scrittore e pubblicista vociano, ex combattente volontario e autore del libro Con me e con gli Alpini, divenuto ispettore delle Ferrovie, nel 1924 fu trasferito in fretta da Firenze a Bologna, in attesa di esonero "per scarso rendimento". I fascisti non gli perdonavano di essere iscritto al partito socialista, di aver rifiutato l'invito di Mussolini a lavorare per il "Popolo d'Italia" e di avere reso omaggio a Matteotti dopo il suo assassinio. Per sei mesi fu isolato in una stanzina al pianterreno di Palazzo Pizzardi, sede dell'Amministrazione delle Ferrovie, con la scusa di fargli imparare l'uso del telegrafo:

Sorridevo della mia preparazione al telegrafo a base di canti di Dante battuti al tasto e riletti poi sulla zona. Riposavo gli occhi e la mente affacciandomi alla finestra interna che dà sul cortile dei centauri per conversare con Pippo.

Pippo era il cavallo che trainava il carro della posta tra la stazione e Palazzo Pizzardi.

Per quattro anni Jahier visse isolato dalla famiglia, in una stanza in affitto sotto le colline. Smise di scrivere e di pubblicare. Sulla sua testa rimase anche in seguito la minaccia del licenziamento, mancando la tessera di iscrizione al fascio.

Al Palazzo Pizzardi, Jahier era in stato di cattività, sotto il controllo fascista, pur essendo un funzionario tecnicamente ferrato e non inferiore a chicchessia anche per la sua superiore cultura di letterato.

L'ispettore ferroviario Jahier non andava in vacanza e coltivava un suo personale angolo di campagna sul terrazzo asfaltato di Palazzo Pizzardi. Con la guerra la sua casa in via Cesare Battisti fu una delle prime ad essere danneggiata dai bombardamenti alleati, nel luglio del 1943. Fu costretto a sfollare a San Pietro in Casale con la famiglia e tutte le mattine, con grande pericolo, venne a lavorare in città:

Corticella-San Pietro in Casale-Bologna, all'alba, col disco rosso del sole che ti nasce sulla sinistra, il vasetto di miele nelle tasche interne del "sacco" per la meritata colazione al tè, da Gino, in via Porta Nova ... eppoi dentro la tana del Pizzardi.

Quando i tedeschi in ritirata circondarono Palazzo Pizzardi, Jahier era in servizio:

Cominciarono dal primo piano a gettare giù nel cortile dei centauri i grossi pacchi orari e poi a portar giù alla Sezione Lavori le planimetrie delle Stazioni e degli Scali, disegni, eccetera ... Agli orari e ai fascicoli dettero fuoco nel cortile.

Poi cominciò la caccia alle macchine da scrivere, che in parte erano state nascoste nei sotterranei alcuni giorni prima. Non fu risparmiata la carta, la cancelleria, ma anche le torce a pila e le lame da barba. Dopo tre giorni vennero i guastatori con un camion e presero gli apparecchi telefonici tagliando i fili. Jahier riuscì a salvare per miracolo la sua preziosa bicicletta.

L'ultimo inverno di guerra, con il fronte a pochi chilometri da Bologna, fu tremendo per la popolazione rifugiata all'interno della sperrzone, la zona franca al di qua delle mura nel quale abitò per mesi oltre il doppio della popolazione normale.

C'era la difterite in giro con tante stalle improvvisate e case senza latte grassi e uova. Se il poco che c'era poteva bastare a un sano, non ristabiliva certamente un malato. E le scarpe erano rotte o molti addirittura non avevano la possibilità di averle. C'era il freddo nelle case senza i vetri. C'era chi aveva perso o dovuto abbandonare tutto.

Nei giorni prima della Liberazione l'ispettore Jahier visse assieme agli sfollati in Palazzo Pizzardi, in mezzo ai "bimbi cenciosi", che scorrazzavano su e giù per le scale. Con un collega ebbe a commentare amaramente:

Quello Stato mostruoso che da me voleva tutto, sino il mio intimo pensiero, ora deve darmi tutto senza ricevere nulla, anzi, mi alberga, mi dà il tetto e il cibo.
Approfondimenti
  • Giuseppe Brini, I ferrovieri sulle strade ferrate dell'Emilia-Romagna, Bologna, Dopolavoro Ferroviario di Bologna, 1979, vol. 1., pp. 199-200
  • Tiziano Costa, Le grandi famiglie di Bologna. Palazzi, personaggi e storie, Bologna, Costa, 2007, p. 168
  • Romeo Forni, L'uomo dai capelli di lana bianca (con Piero Jahier), Milano, Todariana, 1972
  • Industriartistica bolognese. Aemilia ars. Luoghi, materiali, fonti, a cura di Carla Bernardini e Marta Forlai, Cinisello Balsamo, Silvana, 2003, pp.  24-25
  • Le strade di Bologna. Una guida alfabetica alla storia, ai segreti, all'arte, al folclore (ecc.), a cura di Fabio e Filippo Raffaelli e Athos Vianelli, Roma, Newton periodici, 1988-1989, vol.1., pp. 220-221