copertina di Matteo Matteucci, Arpad Weisz e il Littoriale, Argelato, Minerva, 2017

Matteo Matteucci, Arpad Weisz e il Littoriale, Argelato, Minerva, 2017

Bologna, una squadra che regala emozioni, uno stadio tra i più belli d’Europa, una città che esulta e sorride al futuro. Un allenatore, ebreo ungherese e la sua famiglia, approdati in un’Italia che ne riconosce il talento, guida quel Bologna "che faceva tremare il mondo" alla conquista di due scudetti (1936 e 1937) e del Torneo di Parigi il 6 giugno 1937, nella finalissima batte il Chelsea con uno schiacciante 4 a 1. Nel 1938, l’introduzione delle leggi razziali in Italia, all’improvviso, il grigio all’orizzonte. I sorrisi spenti, gli sguardi bassi; il disprezzo. È tempo di andare. Non si può tornare indietro. E in un attimo la felicità è un ricordo lontano, sempre più sbiadito. I pomeriggi in campo con la squadra, gli incoraggiamenti nello spogliatoio la domenica mattina, le trasferte, le partite vinte e quelle perse, i successi che portano in alto, le strategie ideate passeggiando in via Saragozza sulla strada verso casa: tutto cancellato. Cancellati i nomi sul campanello di via Valeriani, quelli dei figli sul registro di scuola; cancellati i progetti, i desideri, le speranze; cancellato un uomo e la sua vita. Arpad Weisz e la sua famiglia lasciano l’Italia nel gennaio del 1939. Un uomo costretto a salire su un treno, non sa per dove. Di Arpad Weisz e della sua famiglia si seppe un giorno che erano morti in un lager.