Parrocchia di San Giuliano - Gli Addobbi

via Santo Stefano, 121

Qui, da più di una settimana abbiamo sereno e caldo. Il tempo ha favorito la festa degli addobbi, che a me, poco amante degli spettacoli, è parsa una cosa bella e degna d'esser veduta, specialmente la sera, quando tutta una lunga contrada, illuminata a giorno, con lumiere di cristallo e specchi, apparata superbamente, ornata di quadri, piena di centinaia di sedie tutte occupate da persone vestite signorilmente, par trasformata in una vera sala di conversazione

(G. Leopardi)

La Festa degli Addobbi fu istituita dal cardinale Paleotti nel 1566, primo anno del suo governo. Anticamente si svolgevano magnifiche processioni, con l'intervento di varie confraternite e con "grandiosa solennità ed altri trattenimenti".

Alla fine del Seicento la festa della parrocchia di Santa Maria Maggiore vide una processione in cui figuravano cammelli, elefanti e leoni impagliati, per una allegoria della Fede, della Carità e della Speranza. C'erano cavalli carichi di cibi per i poveri e si tenne una corsa di berberi per la conquista del palio.

Nel Settecento gli Addobbi divennero un pretesto per restauri e abbellimenti edilizi. Le case erano ripulite, riverniciate, gli stucchi rifatti. Le logge e le androne ospitavano vere e proprie esposizioni di opere d'arte, alcune delle quali di grande valore. Come ha affermato lo storico Mario Fanti:

"In occasione degli Addobbi per diversi secoli la città si è periodicamente restaurata e rinnovata, strada per strada, nell'aspetto dei suoi edifici".

Le strade erano decorate con drappi colorati di rosso scuro, sete, fiori, colonne posticce, finte prospettive. Dopo la processione le famiglie offrivano a parenti e amici il dolce tradizionale della festa, cioè la torta di riso, tagliata a piccole losanghe.

Nel 1776, per l'addobbo di Santa Maria degli Accarisi, la via degli Orefici fu trasformata in una galleria con colonne ioniche, con archi laterali e riquadri adorni di bassorilievi, gioielli, damaschi cremisi con frange d'oro. Alla sera la strada fu illuminata "a candele di cera in lampadari sfarzosissimi".

Dopo una lunga interruzione durante il periodo napoleonico, gli Addobbi furono ripristinati nel 1817 dal cardinale Oppizzoni.

Leopardi e gli Addobbi di San Giuliano

Alla ripresa dopo la Restaurazione, la festa non ebbe più quell'aspetto imponente e scenografico dei secoli precedenti, ma il senso di cordialità e intimità che ad essa si accompagnava - simboleggiato dalle centinaia di sedie allineate sotto i portici di via Santo Stefano - piacque a Giacomo Leopardi, che fu spettatore degli Addobbi della parrocchia di San Guliano nel 1826, durante il suo soggiorno bolognese, e ne scrisse al padre in una lettera datata 3 luglio.

Per essa fece eccezione alla sua istintiva avversione agli spettacoli. Alla sorella aveva infatti scritto poco prima: "I teatri di Bologna io non so ancora come sieno fatti, perché gli spettacoli mi seccano mortalmente". Un clima da "sala di conversazione", simile a quello degli Addobbi, era ciò che per il poeta occorreva "per il formarsi di una coscienza sociale e di una vita culturale".

L'allestimento del 1826 comprendeva "una galleria numerosa di 180 quadri" nel portico del Baraccano. Alla sera "una generale illuminazione venne con tutte le vaghezze dell'arte a mettere il colmo alla gioja delle festose contrade". Tra la folla immensa dei partecipanti si notavano numerosi stranieri.

Dieci anni dopo nella stessa parrocchia la festa non fu molto diversa. Ce ne è rimasta una cronaca nella "Gazzetta privilegiata di Bologna":

Ci parrebbe commettere mancanza non lieve, laddove non facessimo particolare onorifica menzione (degli abbellimenti) tanto grandiosi praticati al locale del Conservatorio delle Zitelle, detto del Baraccano, posto nel circondario di San Giuliano: ristauri portati non solo all'edifizio ad uso di Conservatorio, recato a bello e grandioso compimento, quanto al magnifico conosciutissimo arco, che immette al Tempio di S. Maria, detto, anch'esso, del Baraccano, che egualmente abbellito e vagamente apparato, presentava agli occorrenti il più bello e mirabile colpo d'occhio.

Decine di quadri erano esposti sotto il portico di vari palazzi in via Santo Stefano. Sotto il lungo porticato del Baraccano, fra le oltre sessanta pitture, che formavano "una pregevole Galleria", c'erano dipinti di Guercino, Palma il Giovane, Tiarini, Ludovico Carracci.

Una folla immensa partecipò alle funzioni mattutine e non minore fu il numero delle persone, che alla sera accorsero per ammirare le "magnifiche illuminazioni ... ricche di torce, di fiaccole, di lampadari a cera, sì che presentavano meraviglioso spettacolo agli attoniti riguardanti".

Durante la festa del 1836 accadde anche uno spiacevole inconveniente: un vento impetuoso fece volare via una delle finte prospettive dipinte dallo scenografo Giuseppe Badiali, che serviva a coprire la porta Santo Stefano, allora in aspetto "disaggradevole". Non furono però segnalati danni alle persone.

Henry James, tra meraviglia e ironia

La festa degli Addobbi è sempre stata molto sentita e attesa con trepidazione dalle comunità parrocchiali bolognesi, come è attestato da questa testimonianza, invero un pò sarcastica, dello scrittore americano Henry James, di passaggio in città nel giugno del 1874:

Viene celebrata da due parrocchie bolognesi alla volta e ricorre per ciascuna coppia solamente una volta ogni dieci anni: un sistema, questo, per mezzo del quale i fedeli si assicurano una copiosa ricorrenza di processioni assai costose.

Egli incorse nella combinazione "davvero spettacolare" della festa civile dello Statuto e in quella religiosa degli Addobbi e quindi trovò Bologna "doppiamente pittoresca". Di ritorno da una rassegna di truppe fuori città

un grosso distaccamento di cavalleria ha attraversato lo spazio in cui bruciava l'incenso, gli stendardi decorati svolazzavano, le litanie venivano salmodiate, bloccando l'avanzata della piccola truppa ecclesiastica. La lunga prospettiva della strada, fra i portici, era ornata di ghirlande e stoffe scarlatte e decorazioni; le vesti, le croci, i baldacchini dei preti, le nuvole di fumo profumato e i veli bianchi delle fanciulle di dissolvevano nell'aria calda e luminosa in una fantastica mescolanza di colori, che i soldati a cavallo hanno attraversato rumorosi e svavillanti  come un'armata di conquistatori che schiaccia un'ambasciata di pace.

I "colori caldi", la "confusione pittorica" della festa fecero sullo scrittore un'impressione più forte di quella dei capolavori della Pinacoteca bolognese.

L'attivismo del CBSA

Nel 1899, sotto la presidenza del conte Francesco Cavazza - con Alfonso Rubbiani come consulente - si costituì il Comitato per Bologna storica e artistica. Esso nacque in stretto collegamento con gli Addobbi.

In occasione di questa festa decennale, il Comitato studiava gli edifici bisognosi di restauro artistico nelle varie parrocchie, offriva gratuitamente i propri artefici e spesso concorreva alle spese. Inoltre fece opera di propaganda presso i proprietari e le ditte perché i restauri fossero effettuati con criteri di buon gusto e secondo la tradizione.

In questo modo il CBSA svolse una importante opera di conservazione e tutela del patrimonio architettonico cittadino.

Approfondimenti
  • Maurizio Ascari, Bologna dei viaggiatori. La sosta in città e il valico degli Appennini nei resoconti di inglesi e americani, Bologna, Gruppo di studi Savena Setta Sambro, 1999, pp. 177-179
  • Barbara Baraldi, 101 perchè sulla storia di Bologna che non puoi non sapere, Roma, Newton Compton, 2018, pp. 253-255
  • Serena Bersani, Forse non tutti sanno che a Bologna... Curiosità, storie inedite, misteri, aneddoti storici e luoghi sconusciuti della città delle due torri, Roma, Newton Compton, 2016, p. 192
  • Alessandro Cervellati, Bologna al microscopio, Bologna, Edizioni aldine, vol. 1., Usi, costumi, tradizioni, 1950, pp. 59-62
  • Le chiese di Bologna, testi di Mario Fanti (e altri), Bologna, L'inchiostroblu, 1992, p. 13
  • Henry James, In viaggio, introduzione di Michael Anesko, Milano, Bompiani, 2017, pp. 296-297
  • Giacomo Leopardi, Lettere da Bologna, a cura di Pantaleo Palmieri, Paolo Rota, Bologna, Bononia University Press, 2008, p.285
  • Giacomo Leopardi e Bologna: libri, immagini e documenti, a cura di Cristina Bersani e Valeria Roncuzzi Roversi-Monaco, Bologna, Patron, 2001, p. 13, 142, 165, 173

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