Casa - Via Arienti

Dove
via Arienti, 40. Bologna

Le finestre delle stanze guardavano verso la collina. Casa B. era vasta, armonica e silenziosa, come le case dei signori bolognesi. In quel risveglio di marzo verso l'ora del tramonto, San Michele in Bosco splendeva rosso sulla collina, addossato al monte; come la cattedrale di Toledo nel quadro del Greco. La stanza era tiepida; odorava di tabacco, e di pulito. I mobili, nel cupo legno antico, servivano una ordinata famiglia, lucidi di lavoro e ben disposti ... Godevo di quell'agio breve, come delle comodità passeggere delle sale d'albergo. Tappeti folti; cuscini, di uno spessore superfluo; e tabacco biondo in scatole di mogano. L'amico vi attingeva, con la mano lenta e bianca; e formava le sigarette, che mi porgeva.

(G. Raimondi, Giuseppe in Italia, 2. ed., Milano, A. Mondadori, 1957, pp. 109-110)

Il convento dei Frati Gaudenti

Il 25 marzo 1261, appena terminata la cerimonia di fondazione del loro ordine, nella chiesa di San Domenico, i frati della milizia di Santa Maria Gloriosa, detti Frati Gaudenti, si insediarono in via Arienti.

Erano monaci-cavalieri, ai quali si chiedeva virtù, prudenza e moralità, ma anche mezzi finanziari e titoli nobiliari. Erano divisi in tre categorie: i cavalieri laici coniugati, i cavalieri conventuali e i chierici.

A Bologna arrivarono a possedere numerose case e chiese, compreso l'eremo di Ronzano, in cui fu sepolto Loderingo degli Andalò, il riformatore del Comune messo da Dante nella bolgia degli ipocriti.

Nel 1362 in via Arienti subentrarono i monaci Olivetani, che rimasero alcuni anni prima di trasferirsi in San Michele in Bosco. Vennero quindi i cistercensi, che dedicarono la chiesa a San Bernardo.

Il convento era "un complesso di edifici, raccolti intorno a un chiostro. Il silenzio disteso e benigno era da ogni parte". Al centro del cortile c'era un pozzo tanto profondo da non poterne vedere il fondo.

Dei pini sorgevano nel giardino, in una snellezza di grazia femminile. Corpi sottili, alti, coperti, in alto, dai larghi cappelli di verde. Negli orti erano le serre, racchiuse come in scatole di vetro ...

Una rivista con Raimondi

La casa di Riccardo Bacchelli, "un antico casamento rosso mattone dietro San Domenico",  è descritta con dovizia di particolari da Giuseppe Raimondi, amico e compagno di avventure letterarie. Conosciuto a scuola, rivisto nei caffè, collaborò con lui alla redazione della rivista "La  Raccolta", che di fatto fu pubblicata qui:

Al rientro a casa, nel '18, mi ritrovai con Bacchelli nelle sere al caffè. Riprendemmo le nostre conversazioni letterarie e con questo animo si ventilò di stampare una nostra rivista e fu quella che si chiamò "La Raccolta". Invitammo per collaborarvi gli scrittori lasciati da poco in guerra e altri già legati a Bacchelli. Come Emilio Cecchi [...] e Ardengo Soffici, in aggiunta ai più giovani miei amici, che erano Raffaello Franchi e Filippo De Pisis. Dei pittori pubblicammo cose di Morandi e gli scritti "metafisici" di Carlo Carrà. Da Cardarelli ci giunse un bel gruppo di prose inedite. In tal modo si era consolidato una sorte di ponte culturale fra il territorio bolognese e l'atmosfera dell'ambiente romano uscito dagli impacci bellici.

La relazione dei due amici, reduci dalla guerra - Riccardo ancora con la divisa militare di tenente dell'VIII artiglieria da fortezza - è descritta, nel volume Giuseppe in Italia, nei particolari più minuti ed intimi. L'uno leggeva all'altro una delle sue prime opere, un Amleto moderno, aggiornato ai tempi; insieme prendevano, a volte, la strada verso le colline.

Con lui, ho molto camminato, per le strade di Bologna - confessa Raimondi - ragionato con lui; ascoltato le sue fluide, piacevoli parole. Il pensiero, in lui, si fa subito umore. La vita fu spesa, negli anni migliori, nel tentativo di realizzare una certa idea dell'arte. Se non posseduta, la poesia fu conosciuta. Guardata da vicino. Stava, in abiti dimessi, ma propri, al nostro tavolo.

Parlavano dei libri di amici comuni, letterati conosciuti, italiani e non. Spuntava il nome di Dino Campana, autore di belle prose, quello di Cardarelli, per Bacchelli "uno dei migliori scrittori italiani". Il the, servito con ossequio dalla cameriera, sapeva di erba secca.

La casa era come un terzo protagonista tra loro: ordinata, accogliente, così lontana dal rumore e dal disordine della guerra, dal piombare delle granate, che ancora nel 1918, sul non lontano fronte, sollevavano il terreno molle e lo spargevano "come per una semina".

Raimondi ricorda Bacchelli "nella stanza sul giardino della via Arienti che ricopiava, limpida calligrafia in fogli uso protocollo, le sue pagine delle Memorie". Il piccolo mondo intimo del giovane presentava

un decoro di maniere; una libera educazione d'alta borghesia cittadina e professionale; un gusto sicuro negli arredi, negli utensili di antica famiglia; i cristalli nelle vetrine, le pesanti posate d'argento; i solidi tappeti. L'arte aveva qui un ambiente; e delle radici nel costume.

Nell'appartamento si camminava su interminabili strisce di stuoia, che si diramavano nei vari corridoi ed "erano come un invito alla discrezione dei visitatori".

Famiglia aperta e tanti amici

Riccardo era uno dei cinque figli di Giuseppe Bacchelli, pubblico amministratore di idee liberali, ricordato per aver promosso l'Istituto Ortopedico Rizzoli e aver osteggiato i restauri troppo fantasiosi di Rubbiani nel Palazzo del Podestà. La madre sveva, Anna Bumiller, aiutò Carducci nelle sue traduzioni dal tedesco.

I fratelli condividevano con Riccardo "un carattere di prestanza, di salute agile", derivata da una educazione aperta, insolita in provincia. Mario, pittore, partecipò assieme a Licini, Pozzati, Vespignani e Morandi alla famosa mostra di una sola notte, tra il 21 e il 22 marzo 1914, all'hotel Baglioni.

È impossibile non evocare Morandi, la sua alta figura, come convitato nella casa di via Arienti, dove tutte le arti "trovavano accesso e rispetto".

Anche Aldo Fortuna e Umberto Saba frequentavano casa Bacchelli. Del giovane scrittore bolognese, già ben introdotto negli ambienti letterari, i due amici ammiravano "l'opulenza domestica e la disponibilità economica", che gli permettevano di pubblicare a sue spese un romanzo a dispense.

Vincenzo Cardarelli lodava invece la capacità di Riccardo di staccarsi dal suo feudo e ricomparire ogni tanto "come il capitano attraverso il vetro della sua cabina di comando". Tra i due c'era una dimestichezza scherzosa, piena di sottintesi e di ironia, una confidenza che Raimondi un poco invidiava.

Approfondimenti
  • Barbara Baraldi, 101 misteri di Bologna che non saranno mai risolti, Roma, Newton Compton, 2011, pp. 78-79 (Cavalieri Gaudenti)
  • Maria Letizia Bramante Tinarelli, L'ambiente letterario del primo cinquantennio, in: Bologna Novecento. Un secolo di vita della città, a cura di Maria Letizia Bramante Tinarelli, Castelmaggiore, FOR, 1998, p. 58
  • Quanto hai lavorato per me, caro Fortuna! Lettere e amicizia fra Umberto Saba e Aldo Fortuna (1912-1944), a cura di Riccardo Cepach, Trieste, MGS press, Comune, Assessorato alla cultura, Servizio bibliotecario urbano, 2007, p. 29
  • Giuseppe Raimondi, I divertimenti letterari (1915-1925), Milano, A. Mondadori, 1966, pp. 76-79, 90
  • Renzo Renzi, La città di Morandi, 1890-1990. Cent'anni di storia bolognese attraverso la vicenda di un grande pittore, Bologna, Cappelli, 1989, p. 67
  • Le strade di Bologna. Una guida alfabetica alla storia, ai segreti, all'arte, al folclore (ecc.), a cura di Fabio e Filippo Raffaelli e Athos Vianelli, Roma, Newton periodici, 1988-1989, vol.1. pp. 51-53