Caffè dell'Arena

Dove
via dell'Indipendenza, 45

Bologna è la città degli artisti drammatici. Essi vi convengono, d'estate, a godersi il riposo, a combinare nuove scritture, qualche volta a tenervi congressi. Il luogo di ritrovo, dopo tanti e tanti anni, è sempre quello: il caffè dell'Arena. Alcuni poi, venuta l'età grave e dato l'addio al palcoscenico, vi si fermano, rivedono ogni tanto i vecchi colleghi, vedono ogni giorno la vecchia arena, finché viene il giorno in cui non la vedono più.

(Italia! letture mensili)

Situato all'angolo tra via Indipendenza e via Repubblicana (poi via A. Righi), di fronte all'Arena del Sole, il Caffè dell'Arena era considerato uno dei locali più caratteristici di Bologna e il più famoso all'inizio del '900. Assieme al Caffè del Corso fungeva da centro "a seconda delle stagioni, della drammatica nazionale e della filodrammatica indigena". Era quindi frequentato "da attori, artisti, appassionati di teatro, giornalisti, solitamente impegnati in animate discussioni, racconti di aneddoti, pettegolezzi".

Sebastiano Sani, uno degli scrittori nottambuli assidui del Caffè, ha raccontato in che modo un fornaio, che aveva bottega in questo luogo, si trasformò in caffettiere. In un freddo inverno dell'800 - "allora a Bologna usavano degli inverni con neve, freddo e tormenta" - cominciò a dispensare caffè e alcolici agli operai mezzo assiderati della vicina fabbrica Manservisi, ai quali si aggiunsero treccole (venditrici di frutta e verdura) e massaie mattiniere.

Fatti due soldi, vendette l'esercizio ad altri, finché passò ai fratelli Nerozzi: Raffaele, detto Bartoc, uomo di poche parole e grande lavoratore, e Tonino, uomo festoso e cordiale, confidente di tutti. Essi "procacciarono al caffè, di anno in anno, una grande, universale popolarità e una clientela numerosa, affezionata, illustre, guitta, doviziosa e scalcagnata".

Il Caffè era simile ad altri a Bologna: illuminato con la luce elettrica, aveva poche salette "ben riscaldate d'inverno e fresche d'estate". Sul soffitto della prima saletta erano dipinti quattro medaglioni con i ritratti di grandi attori: Tommaso Salvini, Ernesto Rossi, Ermete Novelli e la "divina" Eleonora Duse. Lungo le pareti vi erano divani in cuoio nero, specie di "sofà da barbiere campagnolo" contornati di bottoni di maiolica bianca e specchi incorniciati di noce. All'interno del locale e all'esterno, sotto il portico basso e in piazza Garibaldi, erano "allineati in bell'ordine" numerosi tavolini di marmo.

Ritrovo di biasanot e di comici

Rimaneva aperto in permanenza, ventiquattro ore su ventiquattro, comodo per i forestieri di passaggio, essendo abbastanza vicino alla stazione. Secondo una guida dell'epoca, il servizio era inappuntabile e vi si trovava "un assortimento veramente raro di liquori esteri, di provenienza diretta, i quali costituiscono un pregio speciale".

Chi dice avventore del Caffé dell'Arena, dice nottambulo per antonomasia. Si andava a letto tardi perché l'uso voleva così, per romanticheria, e perché era tanto bello veder sorridere sui campanili e sulle torri il roseo lume del giorno nascente.

Poiché il servizio era continuato, oltre a perpetuare l'abitudine "grandiosa" dei nottambuli (biasanot) bolognesi di mangiare tra l'una e le due di notte, il Caffè si trasformava sul far dell'alba in sala d'attesa e dormitorio:

su vecchi sofà si rifugiavano poveri diavoli, attori e protagonisti di ogni genere di spettacolo. Ecco perché a certe ore recuperare qualcuno in città significava, innanzitutto, cercarlo al Caffè dell'Arena.

Alfredo Testoni, in Bologna che scompare (1931), lo ricorda come

il ritrovo ufficiale di tutti i comici che, trovandosi a Bologna, si fermano di preferenza a quel caffè a giocare a scopa, a leggere i giornali, e a dir male dei capocomici se sono scritturati o degli scritturati se sono capocomici.

Gli attori sapevano di essere di casa e soprattutto era loro consentito di non pagare, "rimettendo il debito alla riunione della Compagnia" e alla generosità dell'oste.

Attori, giornalisti, letterati

Oltre che da poveri diavoli, il Caffè fu frequentato assiduamente da giornalisti e attori famosi. Tra i primi il direttore della "Gazzetta dell'Emilia" Antonio Cuzzocrea, Cesare Chiusoli e Cesare Dalla Noce, che si firmava con lo pseudonimo Cesare Moscata.

Tra i secondi sostavano Ettore Petrolini, i due grandi Ermete, Zacconi e Novelli, soliti a conversare e giocare a carte, Carlo Musi e Dina Galli, mentre Leopoldo Fregoli, "mago del Trasformismo" e "uomo dal sorriso irresistibile" rimaneva solo qualche giorno, tra una tournée e l'altra in Australia o in Argentina, ad allietare la combriccola residente.

Sul finire del secolo venivano al Caffè anche i letterati Giosuè Carducci e Olindo Guerrini, dopo avere assistito allo spettacolo nel teatro vicino. Alcuni anni più tardi non era raro trovarvi Bino Binazzi, "poeta dal cuor puro", che cantava "con malinconica ispirazione". Un giorno, passando accanto alla geometria dei tavoli allineati, un irrequieto e goliadico Dino Campana

senza dir parola, prese una sedia: e continuando la strada con noi, imperturbabile e sordo ai nostri allegri richiami, se la portò fino in piazza Nettuno, dove, tra le matte risate dei curiosi, la issò sul Gigante.

Capitava anche Luigi Pirandello, il maggiore scrittore del teatro italiano del Novecento. Si sedeva solitario a un tavolino a ordinare un caffè. Era estremamente riservato e educato, ma anche "affabile e aperto al dialogo con chiunque".

Dal 1882 al 1886 Alfredo Panzini, "delizioso scrittore" romagnolo, frequentò l'Università a Bologna e durante l'ultimo anno ebbe una relazione d'amore contrastata e infelice con la signorina Emma Scazzieri, da lui chiamata Mimì. Di essa si ha notizia nel suo romanzo La pulcella senza pulcellaggio (1925) e nelle pagine del Viaggio di un povero letterato (1919).

Allora Emma era "una piccola pallida sartina, precoce, venuta al mondo con due enormi tondi occhi colmi di curiosità, un nasetto impertinente, belle labbra sane a cuore, e gusti eccezionali". L'ingenuo studente le chiese addirittura di sposarla. Lei "rimase così turbata di trovarsi coinvolta in un fatto di tanta gravità, che rifiutò". In realtà amava un altro, un giovane viveur bellissimo e rovinato dall'assenzio, che poi morì suicida. Un altro amore infelice.

La storia finì del tutto dopo la laurea e la partenza di Alfredo da Bologna. Si ritrovarono casualmente nel luglio 1913 al Caffè dell'Arena, durante una breve sosta di entrambi in città: lui diventato professore letterato, lei attrice al seguito dell'illusionista Fregoli e anche poetessa dilettante.

L'incontro fugace servì appena a Panzini per constatare che il cuore, che per tanto tempo aveva continuato a sobbalzare al ricordo di Mimì, ora al rivederla concedeva solo "qualche pulsazione irregolare e nulla più" e che ad andarsene via per sempre era stato soprattutto il tempo della gioventù.

Approfondimenti
  • Bologna nell'Ottocento, a cura di Giancarlo Roversi, Roma, Editalia, 1992, p. 106
  • Alessandro Cervellati, Donne e poeti all'Arena del Sole. Byron/Teresa Guiccioli, Carducci/Annie Vivanti, Panzini/Mimi Scazzieri. Saggi di costume bolognese, disegni dell'autore, Bologna, Tamari, 1966, pp. 75-98
  • Edgardo Ferrari, Dov'è finito lo scimmiottino rosa? Una storia nella storia dal bianco e nero all'euro, Roma, Edizioni Andromeda, 2017, pp. 36-45 (questa fonte segnala il Caffè dell'Arena all'angolo tra via Indipendenza e via San Giuseppe)
  • Italia! letture mensili, Torino, Unione tipografico-editrice torinese, 1913, p. 329
  • Alessandro Molinari Pradelli, Bologna tra storia e osterie. Viaggio nelle tradizioni enogastronomiche petroniane, Bologna, Pendragon, 2001, p. 48
  • Alfredo Panzini, Viaggio di un povero letterato, Milano, A. Mondadori, 1954
  • Marco Poli, La Bologna dei caffè, Bologna, Costa, 2005, p. 13
  • Giuseppe Carlo Rossi, I caffè bolognesi centri di cospirazione, in: Il 1859-'60 a Bologna, Bologna, Calderini, 1961, p. 119
  • Michele Rossi, Il demone della modernità e il talismano dell'idillica classicità, in: Atlante dei movimenti culturali dell'Emilia-Romagna. Dall'Ottocento al contemporaneo, a cura di Piero Pieri e Luigi Weber, Bologna, CLUEB, 2010, p. 123
  • Sebastiano Sani, Bologna di ieri, Bologna, Zanichelli, 1922, pp. 73-106
  • Le strade di Bologna. Una guida alfabetica alla storia, ai segreti, all'arte, al folclore (ecc.), a cura di Fabio e Filippo Raffaelli e Athos Vianelli, Roma, Newton periodici, 1988-1989, vol. 2., p. 395
  • Manara Valgimigli, Uomini e scrittori del mio tempo, Firenze, Sansoni, 1965, p. 57