Caffè dei Cacciatori

Piazza della Mercanzia, 6

Usciva soltanto la sera sull'imbrunire e andava a passare qualche ora nel cenacolo carducciano, oppure si recava in un caffé (Il Caffé dei Cacciatori, se ben ricordo) dove capitavano altri suoi amici a prendere il caffé. Si sedeva anche lui con loro al tavolino, parlando e discutendo e bevendo un bicchier d'acqua per il quale spendeva il soldo di mancia. Quando poi tutti andavano a casa, egli si ritirava a un tavolino lontano dall'ingresso e restava lì a scrivere per qualche giornaletto fino alle prime luci del mattino.

(M. Pascoli)

Nel 1763 è citata una caffetteria gestita da Giovanni Battista Fornari, situata "nella strada detta di Porta", cioè vicino a Porta Ravegnana. Aveva la sala al pianterreno ricavata nella torre medievale dei Guidozagni.

All'inizio dell'Ottocento il Caffè "della quondam signora Maria" era un covo di liberali, soggetto a vigilanza speciale dalla polizia pontificia. La proprietaria l'aveva arredato con gabbie di uccelli.

A metà del secolo diventò Caffè Ungherese (o dell'Ungherese). L'avvenente Carlotta Macchiavelli, che lo acquistò nel 1859, seppe attrarre una scelta clientela di intellettuali e artisti, ma soprattutto di ufficiali dell'esercito. Tra i suoi avventori più illustri ebbe il generale Enrico Cialdini, duca di Gaeta e il marchese Potenziani, Giacchino Napoleone Pepoli e Carlo Berti Pichat.

Nel 1867 il nuovo proprietario, il signor Riguzzi, volle trasformarlo in un locale di lusso. Incaricò del restauro Alfonso Rubbiani e fece decorare la sala maggiore dal pittore Giacomo Lolli, che diffuse "nelle pareti e nel soffitto le fantasiose vaghezze del suo pennello", raffigurando una bellissima Diana cacciatrice "tra cigni, putti e papaveri", mentre i capitelli e gli altri fregi furono scolpiti da Tullo Golfarelli.

La sala di Diana fu inaugurata la sera del 25 ottobre del 1889 ... Diana v'è ritratta sugli arazzi delle pareti in quattro pose diverse, ed in una il candido piedino è posato sulla pantera.

Diventato Caffè dei Cacciatori, si protendeva anche all'aperto, sotto le arcate di un grande portico, "un pò sollevato dal piano stradale", all'estremo limite della via Rizzoli, in angolo con via Castiglione. Era "preferito in qualunque ora dagli studenti" e raccoglieva, fin dal mattino presto, tutti i "cavallari" (sensali, venditori, appassionati di cavalli) che convenivano in città, persone che vociavano e si chiamavano da un tavolo all'altro, commentando le qualità "del tale o del tal'altro trottatore". Tra gli studenti era famoso un gruppo dedito a scherzi atroci, chiamato "la banda di Stefano Pelloni", il famigerato Passatore.

Per quasi un anno, tra il 1890 e il 1891, il Caffè fu anche sede provvisoria dell'esclusivo Circolo della Caccia, frequentato dai notabili della città.

In un articolo sul "Resto del Carlino" del 1925 Giuseppe Raimondi ha lasciato un'accurata descrizione del locale: una lunga sala con i tavoli di marmo a volte appaiati, poggianti su robusti piedistalli di ferro, da cui si alzavano, a distanze regolari, colonnine di ghisa con in cima il globo della luce a gas. In fondo alla fila dei tavoli c'era, verso il banco, una rastrelliera con appesi i giornali.

Ritrovo degli artisti e dei letterati

Oltre che degli "sportsman", il Caffè dei Cacciatori fu anche rinomato ritrovo degli "artisti e dei letterati più in voga". Enrico Panzacchi vi faceva risuonare la sua voce baritonale e il giovane Pascoli vi stava fino a tardi a scrivere articoli per piccoli giornali.

Giosue Carducci portava al caffè "la sua irrequietezza", intrattenendosi, dopo le lezioni all'Università, con i discepoli. Giudicava il gelato del Cacciatori "passabilmente buono", ma il luogo gli pareva "grave e noioso".

Qui una sera fece leggere al Pascoli - che allora appena conosceva e che poi sarebbe diventato "primo fra tutti per ingegno e dottrina" - un suo sonetto e alla fine commentò: "Sarei contento d'averlo composto io".

Spesso Carducci si fermava a discutere con il professor Landoni, nottambulo per eccellenza e lettore accanito di giornali: il tipico bohemien, secondo Olindo Guerrini.

Nel pomeriggio e alla sera, nel locale di piazza Ravegnana passava "la parte più bella della storia dell'arte bolognese degli ultimi trent'anni": dal bizzarro Tartarini, a Luigi Serra, allo stesso Rubbiani. Tranne il solitario Bertelli e il sempre squattrinato Vighi, qui venivano proprio tutti.

Vi fluisce un pubblico vario il cui caleidoscopio sono gli studenti e i professori, gli artisti e i bohèmiens, i politici e i letterati, poi i giornalisti e gli affaristi tutti, impegnati in battute e in riflessioni che corrono di bocca in bocca ...

Il convegno degli artisti era aperto in permanenza nella sala di Diana:

Il Rubbiani vi trovò collaboratori e allievi: Cezanne, Tartarini, Collamarini, Samoggia, Casanova, Pasquinelli; era assiduo anche Luigi Serra; quella che il Ceri chiamò la "geldria rubbianesca" vi andava tutta.

Sui suoi divani scarlatti nacque nel 1874  il "Matto", giornale battagliero promosso da Giovanni Vigna Dal Ferro, assieme a Giosue Carducci, Olindo Guerrini, alias Mercutio, Emilio Roncaglia e Raffaele Belluzzi, per contrastare i fogli del barone Franco Mistrali, ex militare austriaco e accanito clericale. Aveva per motto: "A conti fatti, beati i matti" e durò pochi numeri, fino alla condanna del "nemico", con le sue consorterie e i suoi loschi affari, "simbolo del cancro che corrodeva l'Italia".

Ai tempi della Grande Esposizione, Giannetto Bacchi, Antonio Fiacchi, Oreste Cenacchi e Alfredo Testoni decisero di fondare un giornale umoristico. Non trovando un titolo divertente, si ispirarono all'espressione gentile di un cameriere del Caffè dei Cacciatori, da essi frequentato: "Ehi!, ch'al scusa".

L'uscita di questo periodico, che divenne presto molto popolare, assieme al nome dei suoi redattori, segnò, secondo Franco Cristofori, "la nascita tout court della moderna letteratura dialettale bolognese".

Il caffè chiuse i battenti la mattina del 22 settembre 1915, durante l'edificazione dell'ultimo lotto di via Rizzoli. Leo Longanesi lo ricorda, con il nome di Caffè Diana, come uno dei punti di riferimento della ricca Bologna di allora, popolata di "tiratardi":

Qualcosa saltava fuori da quelle interminabili notti al caffè Diana, con Missiroli, con Binazzi, con Bastianelli ... Saltò fuori Sorel, saltò fuori il Fascismo, mi direte: ma saltò fuori qualcosa. Saltò fuori anche l'antifascismo, se volete. Ed era già saltato fuori Dino Campana. Ricordate le sue notti di Bologna?

Approfondimenti
  • Maria Letizia Bramante Tinarelli, I caffé, in: Cenacoli a Bologna, Bologna, L. Parma, 1988, pp. 132-133
  • Oreste Cenacchi (Chiunque), Vecchia Bologna. Echi e memorie, con prefazione di Giulio De Frenzi, Bologna, Zanichelli, 1926, p. 10
  • Alessandro Cervellati, Bologna grassa, Bologna, Tamari, 1963, p. 129, 135, 138 (data di cessazione cit.: 22 settembre 1915)
  • Giuseppe Chiarini, Memorie della vita di Giosue Carducci, 1835-1907, raccolte da un amico (Giuseppe Chiarini), 2. ed. corretta e accresciuta, Firenze, G. Barbera, 1907, p. 369
  • Il circolo della caccia in Bologna dal 1888 ad oggi. La storia, il palazzo, le opere d'arte, a cura di Giancarlo Roversi, 2. ed. aggiornata, Castel Maggiore, Cantelli Rotoweb, 2001, pp. 33-34
  • Una città italiana. Immagini dell'Ottocento bolognese, a cura di Franco Cristofori, Bologna, Alfa, 1965, p. 85
  • Franco Cristofori, Antonio Fiacchi a cinquant'anni dalla morte, in: "Strenna della Fameja bulgneisa", 1958, pp. 75-76
  • Claudia Culiersi, Paolo Culiersi, Carducci bolognese, Bologna, Patron, 2006, pp. 111-112
  • L'Emilia Romagna com'era. Alberghi, caffè, locande, osterie, ristoranti, trattorie. Sulle tracce di un passato recente alla riscoperta dei segni mutati o cambiati di una secolare tradizione d'ospitalità, a cura di Alessandro Molinari Pradelli, Roma, Newton Compton, 1987, pp. 46-47
  • Pier Mario Fasanotti, Tra il Po, il monte e la marina. I romagnoli da Artusi a Fellini, Vicenza, Neri Pozza, 2017, p. 117
  • Renzo Giacomelli, Vecchio e nuovo nel centro di Bologna, Bologna, Tamari, 1967, p. 56, 71 (foto)
  • Pascoli. Vita e letteratura. Documenti, testimonianze, immagini, a cura di Marco Veglia, Lanciano, Carabba, 2012, p. 115
  • Alessandro Molinari Pradelli, Bologna tra storia e osterie. Viaggio nelle tradizioni enogastronomiche petroniane, Bologna, Pendragon, 2001, p. 66
  • Alessandro Molinari Pradelli, Osterie e locande di Bologna. La grassa e la dotta in gloria della tavola: folclore, arte, musica e poesia nelle tradizioni contadine e gastronomiche della città felsinea, Roma, Newton Compton, 1980, p. 110, 113
  • Marco Poli, La Bologna dei caffè, Bologna, Costa, 2005, p. 12
  • Gian Luigi Ruggio, Giovanni Pascoli. Tutto il racconto della vita tormentata di un grande poeta, Milano, Simonelli, 1998, p. 41
  • Le strade di Bologna. Una guida alfabetica alla storia, ai segreti, all'arte, al folclore (ecc.), a cura di Fabio e Filippo Raffaelli e Athos Vianelli, Roma, Newton periodici, 1988-1989, vol. 3., pp. 708-711 (foto e ill.), 740
  • Alfredo Testoni, Bologna che scompare, 2. ed., Bologna, Cappelli, 1972, pp. 130-134
  • Marco Veglia, La vita vera. Carducci a Bologna, Bologna, Bononia University press, 2007, p. 146
  • Eva Veronese Ghibellini, La bottega del libraio e gli autori, in: "Strenna della Fameja bulgneisa", 1958, p. 91