Il sanremistico bolognese

Eddy Anselmi (Bologna, 16 novembre 1969) conduttore radiofonico, coordinatore di comunicazione e immagine, storico e ricercatore, ha fondato il noto spazio di approfondimento sulla musica leggera in rete www.Festivaldisanremo.com, il sito indipendente sul Festival di Sanremo, e Eurofestival.com, il sito in italiano sul concorso Eurovisione della canzone.

Chi è incuriosito dalla sua personalità, in biblioteca può trovare tutti i suoi libri, e non solo: se, in occasione del sessantunesimo compleanno del Festival, desiderate prepararvi a dovere per il debutto o rinverdire i ricordi delle passate edizioni, o ancora soddisfare delle curiosità riguardo agli artisti, potete trovare, al piano interrato, una ricca sezione dedicata alla musica: non solo i tanti cd degli scaffali della musica italiana (collocazione M ITA), ma anche almanacchi, annuari, libri di costume, biografie dei cantanti e dei gruppi nella parte dedicata ai testi di musica: è sufficiente digitare nel campo ricerca libera del catalogo online la parola sanremo: troverete così retroscena, analisi televisive, enciclopedie, guide...

Leggete l'intervista e, riempiendo lo spazio in fondo alla pagina, raccontateci cosa ricordate o siete sicuri ricorderete di Sanremo, e dove guarderete questa edizione.

Perchè una manifestazione come Sanremo attrae la tua attenzione?
Perché l'ha fatto non lo so, sarebbe come chiedere a Peter Parker perché è stato punto da un ragnetto radioattivo ed è diventato Spiderman. Successe sabato 5 marzo 1977 in occasione del primo Festival a colori. Per una serie di coincidenze, in casa nostra la televisione a colori c'era già, una delle primissime, addirittura ancora senza telecomando. Sanremo scontava un certo disinteresse casalingo, ma quella sera la mia famiglia non volle perdersi quella storica prima edizione a colori, tra l'altro anche il primo Festival tenutosi lontano dalla storica sede del Casinò. La formula del '77 era semplicissima: dodici canzoni si scontravano a due a due nella prima manche: ne rimanevano sei, abbinate in tre scontri "semifinale" e infine le tre finaliste si scontravano per un ultimo responso dei giurati, che erano 25, chiusi in un gabbiotto di vetro situato sotto al palco, e per votare accendevano lampadine colorate. Il Festival diventa un appuntamento immancabile, anno dopo anno, a segnare con le sue canzoni il sapore unico e inimitabile di quella particolare primavera. Fino a che, nel 1990, mi ritrovo a sfogliare "la grande evasione" di Gianni Borgna, il primo dei tanti volumi che l'intellettuale romano dedica a Sanremo, prima di una serie di opere su Sanremo dal vero e proprio taglio storiografico. La tesi di Borgna è che attraverso il Festival si può leggere gran parte della storia dell'Italia del dopoguerra, e quindi lo scontro ancora in atto fra tradizione e modernità o meglio, tra reazione e progresso, conformismo e dinamismo: trent'anni dopo, quest'analisi pare superata, ma Borgna resta il caposcuola vero e proprio di tutti coloro che si sono occupati del rapporti tra storia del Festival e storia del Paese. Sanremo ci racconta gran parte della storia del paese: dalle tensioni per Trieste italiana nel dopoguerra ai riferimenti all'autunno caldo e al femminismo. Le canzoni e le performance festivaliere offrono infiniti elementi di riflessioni sul mutare dei rapporti sentimentali: ultimo ma non per ultimo, Sanremo è per forza di cose un elemento essenziale per capire lo stato della musica leggera in Italia, dalla fase pionieristica in cui non si vendono i dischi ma gli spartiti e i diritti, e quindi comandano i grandi editori, al boom, in cui il soggetto di riferimento sono i discografici e gli impresari, all'ultima fase, in cui l'industria manifatturiera e distributiva viene ridimensionata dalle nuove abitudini e il soggetto più importante diviene l'editore dello spettacolo televisivo, la Rai. E quindi Sanremo è interessante spia anche di questa fase storica, delle preferenze editoriali più o meno coraggiose dell'azienda televisiva pubblica. Non è una foto panoramica del Paese come molti pretendono, ma nel suo illuminare solo una parte del presente musicale, televisivo e perché no, sociale e politico, è precisa e nitidissima, e permette di avanzare interessanti deduzioni. Un ultimo esempio: nel 1973 il più anziano cantante in concorso era Sergio Endrigo, quarant'anni, seguito da Peppino di Capri e Milva, che avrebbero compiuto trentaquattro anni a luglio. Negli ultimi anni continua a essere presente, a dispetto dell'esplosione dei talent show, una generazione di cantanti ultrasessantenni: mi pare di per sé un dettaglio eloquente.

Quale titolo/album di Sanremo non può mancare nella casa di un italiano?
La risposta è semplice: Nel blu dipinto di blu, in una delle sue oltre mille versioni di altrettanti autori, e magari nell'originale arrangiamento del Maestro Alberto Semprini. È la canzone simbolo del Festival, non può esserci dubbio sulla sua importanza. Modugno è il primo autore a partecipare a Sanremo cantando una canzone scritta da lui, e l'edizione del 1958 segna, dal punto di vista della musica leggera, il vero e proprio passaggio tra anteguerra e dopoguerra. Il mondo della musica leggera, a differenza di altre espressioni artistiche quali il cinema e la letteratura, aveva risentito solo moderatamente dei cambio del clima sociopolitico verificatosi alla fine della seconda guerra mondiale. L'archeologo del futuro che ascoltasse le canzoni degli anni Trenta e degli anni Cinquanta spesso faticherebbe a datarle, tanto simili sono gli stilemi musicali e testuali utilizzati. Modugno, in un certo senso, rompe l'incantesimo: in più, Volare diventa subito un vero e proprio inno nazionale: il giorno dopo il Festival, i tifosi la cantano spontaneamente negli stadi. Peccato solo che pochi mesi dopo i francesi la boicottino all'Eurofestival, dove si classifica solo al terzo posto, pur essendo ancora la canzone più venduta dell'intera storia della manifestazione: se l'Eurofestival, il concorso europeo che sta a Sanremo come la Coppa dei Campioni sta allo scudetto, non ha in Italia lo stesso seguito che ha nel resto d'Europa a mio parere è colpa anche di quello storico smacco che nemmeno due vittorie come quelle di Gigliola Cinquetti nel 1964 e di Toto Cutugno nel 1990 sono riuscite a ricucire.

Come spiegheresti in una frase cos'è Sanremo ad uno straniero?
Direi che si tratta di un concorso di canzoni che si ripete da sessant'anni catalizzando l'attenzione dei principali media del Paese: e nel suo ripetersi formalmente uguale mostra diversità musicali, stilistiche, comportamentali che raccontano la Storia della Repubblica con paradossale ma incontestabile precisione.

Quella volta che a Sanremo un tuo pronostico è stato inaspettatamente
disatteso...

Nel 2000 la Rai affidò a una giuria di Qualità il compito di votare le canzoni, con un peso pari a quello di un campione demoscopico "popolare": i giurati forzarono il regolamento e invece di assegnare voti come a scuola, premiarono con una serie di "10" la canzone preferita assegnando un "1" a tutte le altre. Il risultato fu la vittoria della Piccola Orchestra Avion Travel con Sentimento, forse la canzone più ricca di classe che si ritrovi sul podio delle ultime trenta edizioni del Festival. Paradossalmente, fu l'edizione più esplicitamente "pilotata" di tutta la storia della kermesse, e nello stesso tempo anche la più trasparente: anche ai festival del cinema il responso è affidato a una giuria che firma con nome e cognome l'assegnazione del premio. Eppure quello che era un esperimento riuscitissimo non fu più ripetuto: le scelte della giuria vennero presentate dai media come un attentato al carattere di massa della giuria di Sanremo, e il responso dell'edizione 2000, un vero e proprio "millennium bug" nella storia della manifestazione venne presentato quasi come un'attentato alla sovranità popolare. Io temevo una vittoria di Gianni Morandi o dei Matia Bazar e pronosticavo una possibile affermazione di Mietta o di Marco Masini: il responso mi sorprese positivamente, ricordo che con gli amici ci abbracciammo come se si fosse trattato di una vittoria ai Mondiali. L'altro "buco" storico fu nel 1997, quando ad affermarsi fu il duo vocale Jalisse contro ogni previsione della vigilia e al di là di ogni curriculum che potesse giustificare la vittoria. Non poté prevederlo nessuno, e gli stessi Jalisse hanno finito per pagare cara quell'inaspettata affermazione controcorrente: il loro nome è diventato sinonimo di qualcosa di negativo, e la loro carriera, dopo quell'emozionante soddisfazione degli esordi, si è trasformata in un muro finora impossibile da scalare ancora nonostante l'affetto che il pubblico europeo continua a tributargli.

...e la volta che è stato rispettato in pieno
Nel 1982 Sorrisi e Canzoni presentò il Festival ai suoi lettori con la fotografia del solo vincitore designato: "Riccardo Fogli cerca al Festival una conferma" titolò il settimanale diretto da Gigi Vesigna, ed era tanto evidente che Storie di tutti i giorni avrebbe finito per vincere che anche Giucas Casella allestì una pantomima spettacolare sigillando il suo pronostico in busta chiusa prima dell'apertura della manifestazione. Ma anche le edizioni del 1990 e del 1991, con la vittoria dei Pooh e di Riccardo Cocciante, in concorso a una manifestazione che normalmente evitavano, furono tutto fuorché delle sorprese: al di là della trasparenza del responso delle giurie, era come indovinare chi vince una gara di tiri a canestro quando uno dei concorrenti è Michael Jordan. Nel 2005 invece lessi i testi delle canzoni e ebbi come un'intuizione: tutti parlavano di Gigi d'Alessio, io scrissi Francesco Renga. Se avessi scommesso alla vigilia del Festival avrei vinto dieci volte la posta.

Indimenticabili note di costume (abbigliamenti, mise, bello della diretta, aneddoti...) offerte da Sanremo
L'ultima volta che mi hanno fatto questa domanda ho risposto con un volume di quasi mille pagine: secondo me, la nota di costume più rilevante del complesso della manifestazione è il mutare dell'oggetto dell'interesse dei cronisti. A partire dagli esordi, infatti, erano stati i cantanti i veri protagonisti del Festival. Il "presentatore" si limitava a fare da "maggiordomo" a uno spettacolo che sotto i riflettori aveva qualcun altro. I cronisti presenti a Sanremo seguivano i cantanti, raccontavano i fuori scena, i loro spostamenti, si interessavano alle loro cartelle cliniche, costruivano le notizie sulle loro battute. A partire dall'inizio degli anni Novanta, al contrario, il presentatore diventa "conduttore" e attrae tutta l'attenzione mediatica, lasciando ai cantanti solo gli strapuntini dei media. Si parla di Sanremo come di un evento televisivo e non di un evento musicale: l'aspetto della gara, che è quello che tiene Sanremo in vita, viene lasciato in secondo piano rispetto ai risultati delle stime d'ascolto. Il giorno dopo una serata festivaliera, nei bar si conversava di questa o di quella canzone: oggi il centro dell'attenzione sono i dati dell'Auditel. Per me è una trasformazione amara, che racconta però tante cose della direzione in cui sono andate le dinamiche della comunicazione nel nostro Paese.

Ma Sanremo finirà mai?
A tenere in vita il Festival sono le canzoni, i cantanti e la formula della gara. Non c'è conduttore, valletta, mora o bionda, comico o ospite internazionale che possa assicurare al Festival di sopravvivere. L'attuale editore del Festival di Sanremo, nel mio personale parere, sembra non capirlo, e continua a proporre al pubblico una formula nella quale la musica è residuale. Questo rende fragile il Festival, che potrebbe un domani scomparire dai teleschermi senza preavviso. A tenerlo in vita sarà comunque l'interesse del pubblico: il Festival della Canzone Italiana è un marchio del Comune di Sanremo, e se decadesse l'interesse della Rai certamente ci sarà un Murdoch che farà ponti d'oro per trasferirlo su Sky.

L'arte dei pronostici: cosa rimarrà sicuramente dell'edizione che sta
per cominciare?

Rimarrà un'edizione di classe, povera di contenuti come quei ristoranti che hanno tre stelle nella guida Michelin ma dove ci si alza dal tavolo ancora affamati. Nel 1989 le canzoni in concorso erano 48, oggi saranno solo 22. Rimarrà la serata dedicata al 150° dell'unità d'Italia, dove - ad eccezione di La notte dell'addio che sarà reinterpretata da Franco Battiato e Luca Madonia - verranno proposte canzoni già popolari, quando sarebbe stata un'ottima occasione per raccontare una lunga storia anche a chi non la conosce. Si è perso tempo ipotizzando l'esecuzione di canzoni "politiche", tempo che poteva essere impiegato nel confezionare una serata davvero storica, recuperando canzoni poco conosciute, al di là di Mille lire al mese o di Parlami d'amore Mariù, la cui cover portata da Mal in classifica nel 1976 era già più che sufficiente.

L'edizione a parere tuo più memorabile
Non posso indicarne una sola: inizio dall'edizione 1961, che vede l'esordio di una nuova generazione di interpreti e di "cantanti-autori", destinata a segnare la futura storia della canzone leggera italiana: oltre a Mina, che pur aveva partecipato in sordina nel 1960, esordiscono sul palco del Salone delle Feste, Adriano Celentano, Little Tony, Gino Paoli, Milva, Giorgio Gaber, Umberto Bindi, Edoardo Vianello. La chiamo la generazione dei "Campioni d'Italia": quei ragazzi nati a cavallo tra gli anni Trenta e gli anni Quaranta che hanno finito per essere protagonisti di tutto il dopoguerra Italiano. Accenno all'edizione 1967, segnata dalla ancora misteriosa tragedia che vede la scomparsa di Luigi Tenco la notte successiva alla sua eliminazione, e passo al Sanremo 1981, che segna il ritorno delle tre serate in diretta televisiva e il definitivo superamento della "crisi" degli anni Settanta, dovuta non tanto al mutato interesse da parte del pubblico ma a una politica editoriale della Rai che si era proposta esplicitamente dare meno spazio alla musica leggera nel palinsesto dell'azienda televisiva di Stato. Termino con le edizioni 1989 e 2000, che mi sono rimaste nel cuore per motivi strettamente personali: nel 2000 allestii il sito Festivaldisanremo.com, il sito indipendente sul Festival di Sanremo, una tappa fondamentale nel mio percorso di "sanremistico" accreditato. E del 2000 è quella che amo citare come la mia canzone preferita delle 1749 ascoltate in concorso in sessant'anni di Festival, Il timido ubriaco di Max Gazzè, che la giuria di Qualità di cui ho fatto cenno poc'anzi non riuscì a piazzare sul meritatissimo podio per un'inezia.

Quest'anno dove guarderai Sanremo?  
Sarò a Sanremo, come negli ultimi anni, probabilmente all'interno della Sala Stampa del Teatro Ariston. Anche se le serate collettive trascorse a guardare e commentare il Festival con gli amici mi mancano, ma è un prezzo che bisogna pagare quando la tua passione arriva a coincidere con la tua attività principale.

La canzone passata a Sanremo e rimasta nel cuore?  
Detto di Max Gazzè e del 2000, ce ne sono ovviamente centinaia. Mi spoglio dei vestiti dello storico e condivido i miei ricordi personali: dico Non finisce così di Riccardo Fogli, nel 1989 e Sta piovendo dolcemente, una canzone di Anna Melato del 1974 che riscopro durante la redazione dei miei Almanacchi del Festival di Sanremo e che finisce per segnare quella particolare stagione della mia vita. Perché Sanremo è così, imprevedibile, sorprendente e deludente come la vita, e le sue canzoni sono come le madeleinette della zia di Proust: ti danno la mano e ti conducono attraverso la memoria.

Cosa rimarrà di Sanremo nel 2050?
Rimarrà una grandissima storia dell'Italia del Novecento che forse, io spero, sarà riuscita ad aggiornarsi verso la metà degli anni Dieci. O non rimarrà niente, ma questa storia la scriverà una nuova generazione. Oggi come oggi vedo moltissima, troppa cautela e pochissima voglia di qualche vera novità che non sia una mano di vernice su una macchina vecchia. La macchina del festival è bellissima, ma andrebbe cambiato il motore e magari provato un altro pilota.