25 luglio 1943

Non è domenica, eppure, davanti allo Stadio sportivo che sorge alla periferia sud-ovest di Bologna, c'è una folla impaziente, che grida e scuote i cancelli. E' una folla strana, diversa da quella che popola i campi di gioco nei giorni di festa.

Ci sono dei ragazzi, molto giovani, operai e uomini maturi; ci sono anche delle donne; tutta gente decisa a entrare. Le grida infatti si fanno più alte e i cancelli oscillano più forte, poi, di colpo, si spalancano.

Allora la folla irompe nel campo quasi di corsa. Non ha esitazioni, si muove con uno scopo preciso: sale di slancio le scalinate dalla parte della Torre di Maratona, poi si ferma.

Sotto la torre c'è un grande monumento equestre: è Mussolini a cavallo, fierissimo, eretto in arcioni, che domina il campo guardando fisso davanti a sé la verde collina della Madonna di San Luca.

Ora qualcuno s'è arrampicato sulla schiena del cavallo e un altro gli passa una grossa fune. “Forza, legala al collo!”, si sente gridare da più parti. La fune, con un cappio sicuro, è ormai stretta intorno al collo del “duce” e centinaia di mani ne afferrano l'altra estremità.

“Tiriamo tutti insieme”, raccomanda un operaio. La corda si tende: Mussolini ha un brivido. Al secondo strattone si avverte un crac: è la saldatura alla base del busto che cede. Al terzo, il torso imperiale di Mussolini s'inclina e piomba giù dal cavallo, rimbalzando per la scalinata, rintronando come un gigantesco gong.

Un urlo di entusiasmo si leva dalla folla: la statua del dittatore abbattuta è il segno tangibile della libertà conquistata. Il tiranno non ritornerà più su quel piedistallo, non salirà più a tanta altezza.

Lassù sono rimaste soltanto due misere gambe d'ignoto attaccate alla pancia di un cavallo che ha ormai un'aria inutile e spaesata.

(M. De Micheli, 7a GAP, 2. ed., Roma, Editori Riuniti, 1971, pp. 13-14)