Scrittori e scrittrici

Casa-studio di Giorgio Morandi

Dove
via Fondazza, 36

Certo, questo è bene un interno bolognese, pieno di silenzioso riposo estivo, in una di queste logore case della via Fondazza, di San Petronio vecchio, di via del Piombo, nelle quali il poeta Dino Campana ha indugiato a scoprire un poco di oro crepuscolare sulla pietra rossa delle mura, di vagabondaggio in vagabondaggio, un giorno lontano. Essendosi fiutati erano quasi amici, Morandi e Campana.

(G. Raimondi)

Nel 1910, dopo la morte del padre, il pittore Giorgio Morandi, assieme alla madre e alle sorelle, prese domicilio in via Fondazza, in un palazzo dall'aspetto rinascimentale, con il lungo portico scandito da colonne di laterizio con capitelli in pietra. L'appartamento era al primo piano, aveva stanze con soffitti alti, illuminate da ampie finestre, quasi tutte affacciate a levante. Esse davano su un giardinetto che, con la sua piccola aiuola al centro, divenne un giorno il soggetto di un quadro dipinto a memoria. Emilio Cecchi, che visitò il pittore nel 1918, disse di averlo trovato

in una casa misera, con un sentore di disfatte e di malattie ereditarie: in una stanza opaca che è studio, camera da letto, tutto.

Morandi era stato effettivamente molto malato e Cecchi forse esagerò la descrizione. Molti anni dopo Renzo Renzi aggiunse alcuni elementi, indispensabili per avere un idea dello studio:

Sopra un assito, stanno allineate, in alto, molte bottiglie, le sue, di forme austere o melanconiche, cercate con cura al mercato dei robivecchi. Esse sono coperte di polvere e invecchiano, anche qui, in silenzio; come in una sorta di ultima stagionatura.

Morandi e Campana

Morandi vide la prima volta Dino Campana "alle prese coi birri per avere accoppato un brutto cagnolo da signora". Il successivo parapiglia finì in modo ridicolo, con le gambe scalcianti del poeta che spuntavano dal cellulare. Poi i due cominciarono a "fiutarsi", secondo l'espressione di Giuseppe Raimondi, per le strade e i caffè di Bologna.

Morandi acquistò una copia dei Canti Orfici al Caffé San Pietro, probabilmente nell'autunno del 1914. Ricevette il libro con alcune modifiche di mano del poeta: la sostituzione dello stampatore Ravagli di Marradi con "Libreria Gonnelli/via Cavour - Firenze" e la dedica: "All'eccellente pittore Giorgio Morandi con cordialità. Dino Campana". Questa copia venne ritrovata in casa del pittore: molti brani erano evidenziati con tratti di matita blu, segno di una lettura personale e attenta.

Morandi che studia Cézanne, espone per un giorno proprio di fronte al Caffé San Pietro, nei sotterranei dell'hotel Baglioni, partecipa a Lugo alle serate futuriste di Balilla Pratella, frequenta i goliardi e i nottambuli del bar Nazionale, non è indifferente al poeta vagabondo, che legge Nietzsche e Baudelaire, Schuré e la psicanalisi, "fingendosi" studente di chimica.

Nel primo saggio critico mai scritto sul pittore bolognese, anno 1918, l'amico Riccardo Bacchelli fa un accostamento, che suggerisce profonde sintonie tra i due: descrivendo un paesaggio di Morandi parla di "un folto di verde faticoso", usando versi di La Verna. Ritorno di Campana.

Più che di amicizia, tra Campana e Morandi "si dovrebbe parlare di un'intesa d'arte tra il poeta e il pittore che va cercata soprattutto nella comune folgorazione davanti alle cose, davanti al mistero delle cose" (G. Cacho Millet).

Nella reclusione di Castel Pulci Campana rivendicò di aver creato una "poesia europea musicale e colorita", di "aver recato il senso dei colori, che prima non c'era, nella poesia italiana". Come ricorda Greta Bilancioni, i Canti Orfici sono molto più legati al futurismo figurativo (Boccioni, Soffici, ma anche Morandi) che a quello letterario "verso il quale l'autore si mostra spesso insofferente". Commentando dal manicomio le parole di Bino Binazzi, che nel prologo della ristampa Vallecchi del 1928 lo inquadrava nel futurismo prebellico, Campana protestò di non essere stato futurista, ma solo scrittore di "versi balzani":

Il verso libero futurista è falso, non è armonico. E' una improvvisazione senza colore e senza armonie.

Morandi e Raimondi

Morandi nella Fondazza. Lo trovavo ogni volta tranquillo. Operaio al lavoro in maniche di camicia. Posava la sigaretta accesa sul piatto ... L'altra mano, con la spatolina d'acciaio, raschiava, assestava il cumulo di colore cresciuto a dismisura sul davanzale del cavalletto. Falegname che gratta e stende lo stucco di gesso.

Giorgio Morandi e Giuseppe Raimondi furono legati da un rapporto di grande amicizia per (quasi) tutta la vita. Si conobbero nel 1916 e la loro frequentazione divenne assidua nel 1918, dopo la fine della guerra. La prima pubblicazione di un lavoro di Morandi, una sua Natura morta, avvenne nel 1918 sulla "Raccolta", la rivista pubblicata da Raimondi assieme a Riccardo Bacchelli, che uscì regolarmente per un anno e ospitò contributi dei letterati più in vista del tempo.

Trasferito a Roma nel 1919, quale redattore e segretario della "Ronda", Raimondi ebbe per Morandi il ruolo di tramite, oltre che con i letterati della capitale, con gli artisti che si riunivano attorno alla rivista "Valori Plastici". L'epistolario di quel periodo rivela gli studi di Morandi sui classici della pittura, con l'amico impegnato a procurargli riproduzioni di quadri e permessi d'ingresso nelle gallerie romane.

Alla fine del 1920 Raimondi tornò a Bologna e il rapporto tra i due diventò frequentazione quotidiana, compresa l'abituale passeggiata assieme, dal negozio di stufe dello scrittore in piazza Santo Stefano allo studio del pittore in via Fondazza: un "itinerario immutabile", una sorta di pista da percorrere a occhi chiusi, "una lunga, benigna trappola di topi divenuta familiare e necessaria".

Lo scrittore imparò a conoscere bene il luogo in cui Morandi dipingeva, "la stanza ingombra, sul tavolo e sul pavimento di mattoni rossi, di vecchie caffettiere, di bricchi di rame, di lunghe bottiglie da Maraschino di Zara, di fruttiere dal piede ritorto ...".

Li si può immaginare insieme in silenzio, nelle calde estati bolognesi - se il pittore non era in vacanza a Roffeno o a Grizzana - nella penombra dello studio:

dalla finestra aperta entrava l'aria tiepida di fuori, il tepore che s'alzava dal giardino di sotto, la quiete degli orti affondati tra le casette di via del Piombo e i casamenti, abbastanza alti, affacciati sulle mura di Mazzini. La luce del sole ... come impedita da un velo trasparente di profonda pace.

Vivaio di menti italiane

Nella seconda metà degli anni Trenta lo studio di Morandi in via Fondazza divenne meta di un ristretto cerchio di intellettuali, letterati, critici. Oltre a Giuseppe Raimondi e ai bolognesi Francesco Arcangeli e Cesare Gnudi venivano Cesare Brandi, assiduo tra il 1933 e il 1936, Roberto Longhi - che a Bologna insegnò e visse tra il 1934 e il 1937 - e il suo eccezionale allievo Alberto Graziani, scomparso prematuramente, Mario Tobino, che all'Alma Mater si laureò in medicina nel 1936, Carlo Ludovico Ragghianti, storico dell'arte e esponente di spicco del Partito d'Azione, presente in città tra il 1940 e il 1943.

Da Ferrara veniva Giorgio Bassani, studente di Longhi come il "friulano" Pier Paolo Pasolini, mentre da Parma, dove insegnava, Mario Luzi raggiungeva alla domenica gli amici bolognesi. Tutti stimavano Morandi come maestro, vedevano in lui "un esempio morale per la forte personalità e l'integerrimo costume di vita". E soprattutto amavano la sua pittura arcana "di un amore esclusivo che accetta soltanto una sorta di complicità tra affini, tra coloro che capiscono e condividono le stesse passioni e gli stessi ideali".

Morandi e Arcangeli

Negli anni Trenta Longhi e Morandi passeggiavano insieme sotto i portici di strada Maggiore. Al termine della prolusione al suo corso universitario del 1934 Longhi definì Morandi "uno dei migliori pittori viventi d'Italia" e "un nuovo incamminato".

Nella primavera del 1936 Longhi accompagnò Francesco Arcangeli e Alberto Graziani, i suoi allievi prediletti, a conoscere Morandi in via Fondazza. Gli ospiti entrarono nello studio pieno di luce, col finestrone verso il giardino. Il pavimento rosso era lucidato a cera e in un angolo stavano ammucchiati vari oggetti impolverati. "Risaltava il bianco antico della coperta sul letto". Arcangeli rimase incantato davanti ai quattro cinque dipinti appesi nella camera: era la prima volta che vedeva dal vivo i colori di Morandi.

Nell'estate del 1943, durante un'irruzione della polizia in casa di Nino Rinaldi in San Petronio Vecchio, fu trovato materiale di Giustizia e Libertà. Per l'affaire Rinaldi furono portati in carcere anche Arcangeli e Morandi.

Nel dicembre 1944 Morandi dichiarò in una lettera a Raimondi che non frequentava più nessuno, tranne Arcangeli. L'allievo di Longhi era l'unico rimastogli vicino in un momento difficile per tutti i bolognesi, l'ultimo inverno di guerra. In altre lettere il pittore si rammaricò di non poter dipingere all'aperto per il pericolo dei bombardamenti, comunicò il suo disagio a trovarsi in Accademia mentre suonava l'allarme aereo.

Le visite di Momi allo studio di via Fondazza si susseguirono abbastanza frequenti. Di fronte ai paesaggi e alle nature morte di Morandi, il giovane critico rinnovava il suo stupore, trovava "il dominio della sua infallibilità sull'opera pressoché assoluto e totale", gli pareva di non poter entrare nel cuore della sua pittura e non osava scriverne.

Nel 1951 la Galleria Il Milione di Milano lanciò il progetto di una vasta monografia su Morandi e pensò di affidarne il testo a Ragghianti, Brandi o Argan. Ma il pittore volle Arcangeli, da lui considerato "una brava persona" e destinato a prendere il posto di Longhi.

Lo studio di Morandi fu "rovesciato" in quello di Arcangeli: centinaia di fotografie e riproduzioni a colori furono sparse sul pavimento e sui mobili. Secondo una testimonianza dell'amico Mandelli, entrare allora nelle stanze di Momi era come "piombare in uno strano pianeta appartenente a uno speciale universo", che il critico esplorava come un astronauta.

Nell'estate del 1961 Arcangeli cominciò a consegnare a Morandi il dattiloscritto del suo saggio e a ottobre erano già 160 le cartelle recapitate. Il critico era convinto di aver aperto tante nuove porte sulla sua opera, ma inaspettatamente si aprirono per lui quelle dell'inferno.

Il 6 novembre 1961 Morandi spedì ad Arcangeli una lettera con la quale gli impose di cessare i suoi atteggiamenti polemici nei confronti di amici critici, quali Brandi e Argan, e da lì in poi fu un rosario di appunti, proteste, censure, fino alla totale rottura tra i due e al definitivo divieto da parte del pittore di pubblicare il testo.

La stima e l'amicizia di Morandi per Arcangeli si capovolsero in durezza e accanimento contro di lui: "Il matto cosa fa? Non l'hanno ancora messo dentro? Mi hanno detto che si è andato a spogliare davanti al Sindaco. L'hanno visto dirigere il traffico in via Indipendenza ...". La cupa vicenda fu un colpo pressoché definitivo per Arcangeli, che considerava il più anziano pittore come un padre.

Approfondimenti
  • Francesca Alinovi, Giorgio Morandi, in: Giuseppe Raimondi fra poeti e pittori, mostra di carteggi, Bologna, Museo civico 28 maggio-30 giugno 1977, Bologna, Alfa, 1977, pp. 123-127
  • Greta Bilancioni, Dino Campana e Bino Binazzi a Bologna, in: "Il carrobbio", 28 (2002), pp. 251-252
  • Cesare Brandi, Scritti d'arte, a cura di Vittorio Rubiu Brandi, Milano, Classici Bompiani, 2013
  • Flavio Caroli, Il sodalizio fra Longhi e Morandi e l'eredità di Francesco Arcangeli, in: Morandi e il suo tempo, Milano, Mazzotta, 1985, pp. 69-77
  • Andrea Emiliani, Il "Morandi" di Arcangeli: lo specchio infranto, in: Turner Monet Pollock: dal romanticismo all'informale. Omaggio a Francesco Arcangeli, a cura di Claudio Spadoni, Milano, Electa, 2006, pp. 57-62
  • Pompilio Mandelli, Il rapporto tra Arcangeli e Morandi, in: Giornata di studi in ricordo di Francesco Arcangeli, a cura di Guido Salvatori, Bologna, Scuola di Specializzazione in storia dell'arte dell'Università di Bologna, Editrice Compositori, 2005, pp. 31-37
  • Pompilio Mandelli, Via delle Belle Arti, ed. accr. e corretta, San Giorgio di Piano, Minerva Edizioni, 2002, pp. 191-213
  • Gabriel Cacho Millet, "Parole rotte" di Dino Campana a Bologna, in: I portici della poesia: Dino Campana a Bologna (1912-1914), a cura di Marco Antonio Bazzocchi e Gabriel Cacho Millet, Bologna, Pàtron, 2002, pp. 17-19
  • Morandi incisore, a cura di Franco Basile, Bologna, La loggia, 1985, p. 12
  • Carlo Pariani, Vita non romanzata di Dino Campana, Firenze, Ponte alle Grazie, 1994, p. 43
  • Marilena Pasquali, "I vostri occhi forti di luce". L'incontro fra Giorgio Morandi e Dino Campana, in: I portici della poesia, cit., pp. 87-97
  • Filippo Raffaelli, I segreti di Bologna, Bologna, Poligrafici, 1992, p. 65
  • Giuseppe Raimondi, I divertimenti letterari (1915-1925), Milano, A. Mondadori, 1966, pp. 53-54
  • Renzo Renzi, La città di Morandi, 1890-1990. Cent'anni di storia bolognese attraverso la vicenda di un grande pittore, Bologna, Cappelli, 1989
  • Renzo Renzi, La città sentimentale, Bologna, Edizioni della provincia di Bologna, 2005, pp. 57-61
  • Le strade di Bologna. Una guida alfabetica alla storia, ai segreti, all'arte, al folclore (ecc.), a cura di Fabio e Filippo Raffaelli e Athos Vianelli, Roma, Newton periodici, 1988-1989, vol. 2., p. 302