Mario Saccenti - Bacchelli

È, Bacchelli, con la sua cultura e certe disposizioni mentali e certe caratteristiche stilistiche, erede dell'Ottocento come di altri periodi della cultura italiana ed europea, Rinascimento e Seicento e Settecento; ma non meno, anzi più, Bacchelli è figlio del suo tempo, del quale ha pure avversato e demolito tanti idoli e miti (dalla psicanalisi al marxismo-leninismo) e del quale si è pur sentito, in tante occasioni, cittadino deluso e scoraggiato. Il Novecento vive in lui nell'ansia conoscitiva, nella ricerca sperimentale come in quel richiamo alla serietà e alla moralità del lavoro letterario che non può prescindere dalla lezione della "Ronda", prolungatasi ben al di là degli anni della "posbellica rivista" tesa al rinnovamento (ed addirittura alla rivoluzione) nella conservazione e nella tradizione: perché, a ben vedere, il romanzo bacchelliano, con certe sue spezzature strutturali, con la miscela di racconto, lirismo e moralità, con la sua inquietudine intellettuale, con la sua fuga dal circoscritto e dal concluso, è soprattutto sviluppo abnorme del saggismo rondesco, e non in angusti confini di primo dopoguerra italiano, ma entro orizzonti europei.

(Da: Giuseppe Raimondi fra poeti e pittori, mostra di carteggi, Bologna, Museo civico 28 maggio-30 giugno 1977, Bologna, Alfa, 1977, pp. 138-139)