Scrittori e scrittrici

San Michele in Bosco - Istituto Rizzoli - Villa Putti

via Pupilli, 1, Bologna

E in quei mattini d'estate abbacinati di sole liquido, trapunti dal clic delle cesoie di Riccardo tra i bossi, dal fresco zampettio dei cani sulla ghiaia, dal tubare dorato delle tortorelle sul cedro, una voce che mi chiamasse da una porta-finestra aperta improvvisamente mi faceva trasalire.

(C. Campo)

Il monastero di San Michele in Bosco fu ricostruito nel 1437, su un più antico cenobio, dai monaci olivetani. Nel 1797 fu trasformato in ospedale militare per le truppe polacche al seguito delle armate napoleoniche. Nel 1804 venne adattato a casa di pena e arrivò a ospitare fino a 900 detenuti di ambo i sessi. Essi erano portati in città, incatenati ai piedi a due a due, a pulire le strade o "con delle biroccie a condur via varie cose". All'interno della galera funzionava una lavanderia a prezzi vantaggiosi.

Nel 1810 i detenuti furono trasferiti al Forte Urbano di Castelfranco Emilia e il convento rimase a lungo deserto e incustodito, profondamente devastato e profanato. Tra gli ambienti irrimediabilmente perduti vi fu il teatro, costruito in legno nel '700 dai Bibiena.

Delle distruzioni di San Michele in Bosco fu testimone Francesco Majani, famoso cioccolatiere:

Ho ben veduto quel vasto locale ridotto per molti anni in una Galera, potei vedere la devastazione ed il vandalismo in cui fu lassiato, col levar di tutte le ferriate, li guerci e gli occhietti degli ussi, facendo nei muri dei sbraghi li più grandi ... tutte le muraglie luride sporche che tutto per tutto era un orrore.

Furono i legati pontifici, negli anni '40, a ripristinarlo come villeggiatura suburbana e in seguito poté ricevere ospiti illustri, quali papa Pio IX e il re Vittorio Emanuele II.

Nel 1879 il dottor Francesco Rizzoli, primario di Chirurgia all'Ospedale Maggiore, acquistò il convento dal demanio per farne un istituto chirurgico. Il progetto fu realizzato dopo la sua morte - e grazie al lascito del suo patrimonio - a cura dell'Amministrazione provinciale, capeggiata da Giuseppe Bacchelli, padre dello scrittore Riccardo Bacchelli.

L'Istituto Ortopedico Rizzoli fu inaugurato dai reali d'Italia il 28 giugno 1896 e negli anni successivi diventò uno dei migliori ospedali ortopedici del mondo. Questa meritata fama fu dovuta soprattutto ad Alessandro Codivilla ed a Vittorio Putti, i primi direttori, che crearono una prestigiosa scuola di ortopedia con numerosissimi allievi in Italia e nel mondo.

La nuova destinazione del convento di San Michele è echeggiata da una poesia di Giovanni Pascoli, che, negli ultimi anni della sua vita, abitò in via dell'Osservanza, ai piedi della Panoramica:

La luna par che adagio s'avvicini
a San Michele, e guardi nel convento.

No, non ci sono frati ma bambini
fuori del nido. Ella ristà tra il vento ...


 

Il Belvedere e la Via Panoramica

Vengo da San Michele in Bosco. E' un convento situato in posizione pittoresca, come tutti quelli d'Italia; il vasto edificio corona la più graziosa delle colline coperte di boschi a cui è addossata Bologna; è come un promontorio ombreggiato da grandi alberi che avanza nella pianura ... Sdraiati sotto querce imponenti gustiamo in silenzio una delle viste più estese dell'universo.

Questa l'immagine di San Michele espressa da Stendhal durante una sua visita a Bologna nel 1817. Lo scrittore citò la "deliziosa collina" anche nel suo romanzo più famoso, Il Rosso e il Nero.

Dal 1854 la strada principale per salire a San Michele in Bosco fu la Strada Panoramica, voluta dal Legato pontificio mons. Grassellini e disegnata dal prof. Brunetti Rodati per raggiungere comodamente da Porta San Mamolo la Villa Legatizia (cioè l'ex convento e futuro Istituto Rizzoli). In un clima di polemiche risorgimentali, la "Ratta di San Michele" fu criticata aspramente come spesa non necessaria, a comodo esclusivo dell'autorità ecclesiastica.

In realtà divenne nel secondo '800 una delle passeggiate preferite dei bolognesi e meta delle coppiette, più ancora dell'altra salita da Porta Castiglione, conosciuta come lo "stradello dei morosi". Amori non sempre disinteressati e sinceri, come si evince dalle strofe di Lorenzo Stecchetti, che, accennando ai soldati, indirettamente ricorda la presenza, ai piedi del viale alberato, del grande Arsenale militare:

O San Michele, anch'io ci son passato
Per le tue strade solitarie e belle
E mi scorgeva un luccicar velato
Di lucciole e di stelle

Nell'ora queta in cui l'odor de' prati
Umido sal da' tuoi valloni foschi,
Nell'ora in cui le serve ed i soldati
Spariscon ne' tuoi boschi.

Sul tuo monte tessei romanzi anch'io
Profumati di cinnamo e di mirra,
E il salario pagai dell'amor mio
Con un bicchier di birra.

Fu all'ombra de' tuoi viali, o San Michele
Ch'io la trovai, la donna del mio core
La giovinetta che mi fu fedele
Quasi ventiquattr'ore!

Ai tempi del "tumultus infimus" contro Carducci divenuto filo-monarchico, gli studenti rimasti a lui fedeli salivano la via di San Michele declamando le sue poesie, per continuare alla sera in qualche caffè del centro. Come attesta Manara Valgimigli,

ci dicevamo l'un l'altro, con gran brividi di commozione e pianti e abbracciamenti e promesse, i giambi ed epodi più accesi, o delle 'Rime Nuove' o delle 'Odi Barbare'.


 

Panzacchi maestro di cerimonie

Il 1888 fu l'anno della Grande Esposizione Emiliana e delle celebrazioni dell'VIII Centenario dell'Università, che coinvolsero notevolmente gli ambienti economici e sollecitarono la vita culturale cittadina. Gran parte della rassegna venne allestita ai giardini Margherita, tranne l'Esposizione Nazionale di Belle Arti, che fu ordinata nelle sale della Villa Reale di San Michele in Bosco. Tra i cronisti dell'evento, la scrittrice Matilde Serao lasciò una descrizione entusiastica della vista da San Michele:

Forse i vostri occhi avranno visto tanti spettacoli brillanti o commoventi, avranno ammirato tante varie forme di bellezza: ma quando avete passato un'ora lassù, dal tramonto alla sera, voi, certo, porterete via, indimenticabile, invincibile, il fascino dolce di Bologna bella.

La presidenza d'onore dell'Esposizione di Belle Arti fu assegnata al pittore modenese Adeodato Malatesta, mentre a capo della Commissione Ordinatrice fu scelto Enrico Panzacchi, che la Serao descrisse come "l'innamorato dolce e ostinato delle notti italiane" e "il poeta sognatore delle intime minute dolcezze". Normalmente distratto e indolente, in questa occasione il professore dimostrò grande efficienza: contese i quadri ai pittori che volevano inviarli ad altre manifestazioni, ne curò minutamente la disposizione, "ne avrebbe forse dipinti, dei quadri, se fosse stato necessario".

Nel padiglione delle Belle Arti furono esposti oltre 600 dipinti, sculture e opere d'arte decorativa. Si potevano ammirare quadri dei maggiori artisti del tempo: da Giovanni Fattori a Telemaco Signorini, da Gaetano Previati a Giovanni Segantini. Il mitico Sgner Pirein sulle pagine di "L'Ehi! ch'al scusa all'Esposizione" descrisse l'arrivo dei reali a San Michele in Bosco nel giorno dell'inaugurazione:

Il prof. Panzacchi sentito che il Re brama qualcuno che gli dia notizia sulle opere esposte, al corr a gamb a zercarel, ma po' arcordands che è lui quel desso, si accompagna coi reali e baritoneggia brioso le desiderate informazioni.

Panzacchi fu di nuovo a San Michele in una occasione molto meno propizia. Secondo la testimonianza di Giuseppe Albini egli viveva da qualche tempo

consapevole di recare in sè e venir maturando il germe della fine, e, pur dissimulando fuori per ribrezzo o quasi pudore del male, tanto più dentro si accorava, costretto dì e notte ai colloqui con la morte, lui in cui eran sì accesi il senso e l'alacrità della vita.

Alfredo Oriani raccontò ad Alfredo Panzini che Panzacchi chiese un giorno di incontrarlo. Lo trovò molto pallido e dimagrito:

Sembra aver perduto il timbro squillante della voce, e le parole gli escono lente e fioche dalla bocca. È quasi irriconoscibile il nostro buon Panzaccone.

Era preoccupato per la sua fama futura. Aveva paura, come di fatto avvenne, di essere dimenticato come letterato e poeta. Dietro sua precisa, pressante richiesta, Oriani rispose con una "schietta" e pietosa bugia, esagerando affettuosamente una ammirazione da lui non sentita.

Il professore era ammalato di tumore al petto e finì i suoi giorni all'Istituto Rizzoli, inaugurato pochi anni prima. Così recita una lapide affissa nel loggiato al piano terra, accanto quella che ricorda l'Esposizione dell'88:

Insanabilmente infermo venne qui a dimorare per confortarsi da questo colle nella vista della diletta città che tutta abbracciò d'uno sguardo nell'estremo sospiro il 5 ottobre 1904.


 

Cristina Campo e il giardino di fiaba di villa Putti

Il convento è in un grande parco e in fondo a questo parco, nella casetta riservata a mio zio, mia madre mi diede alla luce. Da anni non vedevo quella casetta ... ma il ricordo, le dimensioni, erano quelle dei miei cinque anni. Così la casa mi è apparsa piccolissima e il prato inglese, il boschetto, la fontana - tutto il mio grande regno delle fate - giocattoli da accarezzare con la mano.

Situata nel parco alle spalle del convento di San Michele in Bosco, il villino del prof. Vittorio Putti, direttore dell'Istituto Rizzoli, fu costruito nei primi decenni del '900 su progetto di uno dei più grandi architetti italiani dell'epoca, Tomaso Buzzi, collaboratore di Giò Ponti, restauratore di Villa Maser, inventore di splendidi vetri per Venini e amico di Benedetto Croce. Nel dopoguerra lo stabile è rimasto a lungo abbandonato e quasi completamente in rovina. In anni più recenti è stato utilizzato come foresteria gratuita per i parenti dei piccoli degenti del reparto di oncologia del Rizzoli, sottoposti a trattamenti chemioterapici.

Acqua fluiva, mentre io leggevo sotto le finestre della nostra cucina,
in luogo dell'aiuola di zinnie, della siepe di spiree ...

Nella villa di Putti, del quale era nipote, e nel parco circostante, la scrittrice Vittoria Guerrini (Cristina Campo) trascorse sotto controllo medico "alcune stupende, lunghe estati" della sua infanzia e adolescenza, che si profilò, come il resto della sua vita, come una continua convalescenza. Era infatti affetta da una malattia congenita al cuore, il dotto di Botallio pervio, che la rese fragile, la costrinse a vivere isolata, separata dal mondo, le impedì di frequentare scuole pubbliche, la obbligò spesso a intere giornate di inattività, sdraiata a letto. Nel suo ricordo la "modesta casetta liberty su due piani" dello zio professore divenne una reggia di fate:

Stanze buie che respirano dalle tende accostate, alti letti d'ottone che si alzano in volo di notte come magici tappeti d'Oriente, profondi armadi di noce che nascondono tesori, ritratti parlanti da spesse cornici di legno. (De Stefano)

Il giardino del Rizzoli, con alberi altissimi - aceri, frassini, querce, cedri - fu per lei uno spazio di riflessione, di letture, di creazione di mondi fantastici. Grazie alla fiaba, si trasformò in tema letterario, luogo di magici incontri, in cui i banali accadimenti quotidiani diventavano avventure emozionanti. Vittoria Guerrini e Enrico Panzacchi avevano tra loro legami di sangue: lo scrittore era fratello della nonna di Vittoria. A San Michele in Bosco, in questo luogo per loro e per tanti di malattia e sofferenza, portarono anche il soffio della poesia, di un mai abbastanza appagato desiderio di assoluto.


Approfondimenti

Umberto Beseghi, Introduzione alle chiese di Bologna, 2. ed., Bologna, Tamari, 1955, p. 290


Cristina De Stefano, Belinda e il mostro. Vita segreta di Cristina Campo, Milano, Adelphi, 2002, pp. 21-23


Expo Bologna 1888. L'Esposizione Emiliana nei documenti delle Collezioni d'Arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, a cura di Benedetta Basevi, Mirko Nottoli, Bologna, Bononia University press, 2015, p. 27


Olindo Guerrini, Postuma, canzoniere di Lorenzo Stecchetti, (Mercutio), edito a cura degli amici, Bologna, Zanichelli, 1881, p. 70


L'Italia a Bologna. Lettere di Matilde Serao per le feste del 1888, a cura di Valerio Montanari e Giancarlo Roversi, Bologna, Alma Mater studiorum saecularia nona, CLUEB, 1988, pp. 48-67, 77-80


Francesco Majani, Cose accadute nel tempo di mia vita, a cura di Angelo Varni, Venezia, Marsilio, 2003, p. 363


Manara Valgimigli, Uomini e scrittori del mio tempo, Firenze, Sansoni, 1965, p. 9