Battaglia alla Montagnola. Cacciati gli Austriaci

8 agosto 1848, 00:22

La mattina dell'8 agosto alcuni ufficiali austriaci, entrati con alterigia nei caffè, vengono aggrediti e malmenati dai bolognesi.

Alla Deputazione, che lo prega di non imputare al governo “questi fatti parziali”, il generale Walden chiede immediatamente che gli siano consegnati “gl'individui offensori”. Pretende di avere in ostaggio sei “persone distinte” e di ricevere un risarcimento di trentamila scudi.

Il Pro-Legato Bianchetti, che intende offrirsi come ostaggio, ne è impedito dai popolani. Tutti i campanili della città vengono occupati e le campane cominciano a suonare a stormo.

La rabbia popolare monta: si fanno barricate “con panche da chiesa, travi, tavole” e si disfano i selciati per aver pietre da lanciare a mitraglia.

Si decide di resistere e di "rigettare con le armi le pretese del barbaro". Il popolo accorre: chi è senza fucile porta pistole, mannaie, lance improvvisate.

Dopo due ore di combattimenti, le porte Lame e San Felice sono chiuse dietro al nemico e puntellate. Il popolano Paolo Mela serra Porta San Felice sotto il fuoco nemico e tra gli applausi dei difensori.

Un drappello di Austriaci a cavallo, intervenuto da Porta Galliera, riesce a riaprire Porta Lame, da dove penetra un grosso corpo di truppa.

I soldati, protetti dai portici, arrivano fino alla chiesa dei SS. Filippo e Giacomo e qui sono respinti da una folla di popolani “di buon sangue”. Intanto un drappello di Ulani tenta invano, da San Mamolo, una scorreria per occupare i colli di San Michele e dell'Osservanza.

La vera battaglia avviene alla Montagnola e dura più di tre ore. Gli Austriaci occupano il giardino, in posizione dominante sul centro cittadino, con due battaglioni di fanti e tre pezzi d'artiglieria.

Contro di loro combatte valorosamente la Guardia Civica, comandata da Gioacchino Napoleone Pepoli. Molte case di fronte alla collina vengono bombardate e incendiate. Il fuoco arde nel palazzo Gnudi, sul canale del Reno, subito spento dai pompieri.

La popolazione bolognese si precipita contro gli occupanti: sono, secondo il testimone Pompeo Bertolazzi, “cittadini, civici, popolani, finanzieri, carabinieri, vecchi, donne, ragazzi, con fucili, bastoni, sassi”.

Gli scontri si concludono a sera con la cacciata degli Austriaci, che, dopo la morte del loro comandante di artiglieria, escono in rotta da porta Galliera.

Gli Imperiali lasciano sul terreno numerose vittime: circa 400, contro 57 difensori bolognesi. In un casolare vicino alla città ammucchiano i loro morti e li bruciano, “secondo il loro barbaro costume”.

Nella ritirata sfogano la loro rabbia sulle campagne, "incendiando, involando, uccidendo" artigiani, braccianti e coloni negli appodiati di Arcoveggio e Borgo Panigale. Tra gli altri l'intera famiglia del macellaio Luigi Bettini. Nei dintorni di Cento compiono saccheggi e rappresaglie.

Una settantina di prigionieri austriaci sono concentrati in Palazzo Comunale, nel cortile della cisterna, dove “alcuni bolognesi dabbene” donano loro “pane, denaro e tabacco da pipa”.

I soldati vengono salvati dal linciaggio della folla e consegnati al guardiano del Torrone. Il conte Pepoli e la Guardia Civica impediscono al "popolaccio" di invadere il carcere.

"Senza alcun materiale di guerra e quasi senza armi", solo con il "valore che ispira l'amore della patria e della libertà", Bologna, secondo Enrico Bottrigari, ha saputo "cacciare lo straniero dalle sue mura". E l'onere e l'onore della difesa della città sono rimasti soprattutto nelle mani dei popolani, dal momento che i signori, tranne poche eccezioni, si sono nascosti.

Secondo Natali "la difesa eroica di Bologna fu la rivelazione delle forze latenti della città; fu la rivoluzione degli umili e dei diseredati".

Approfondimenti
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