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Dalla Cronologia

Accadde oggi, 14 giugno.

immagine di La chiesa di San Giovanni Battista a Casalecchio di Reno
14 giugno 1967
La chiesa di San Giovanni Battista a Casalecchio di Reno
È inaugurata la chiesa di San Giovanni a Casalecchio, edificata su incarico del card. Lercaro. È l’unica progettata dall’architetto Melchiorre Bega (1898-1976), oramai al termine di una lunga carriera. È un edificio volutamente sobrio e spoglio, destinato a coloro “che non amano la Chiesa-parata, la Chiesa-apparenza, ma sognano la Chiesa del Signore”. L’altare, al centro dell’edificio ecclesiale, è un blocco di arenaria da 40 quintali. Il tabernacolo in bronzo è opera dello scultore Farpi Vignoli (1907-1997). Particolare è il battistero, che ha accesso anche dall’esterno. La statua del Battista sul fonte battesimale è di Luciano Minguzzi (1911-2004).
immagine di Si costituisce la Società anonima Nicola Zanichelli
14 giugno 1906
Si costituisce la Società anonima Nicola Zanichelli
Con la costituzione della Società anonima Nicola Zanichelli la vecchia editrice e libreria di corte Galluzzi cessa di essere un’azienda a conduzione familiare. Dopo la morte di Cesare (1851-1917), ultimo figlio del fondatore, l’ex sindaco Alberto Dallolio diviene presidente, mentre direttore tecnico è nominato un ex commesso della libreria, Oliviero Franchi. La società è controllata dalle ditte Bemporad e Treves e orienta la propria produzione editoriale verso il mondo scientifico, dopo essere stata, per tutta la seconda metà dell’800, un punto di riferimento per il cenacolo letterario di Giosuè Carducci, “chiesa della dottrina e della celebrità bolognese”. Pur non assumendo cariche societarie, il matematico Federigo Enriques diviene una presenza determinante per le scelte editoriali. Vengono pubblicati scritti di professori emeriti dell’Università, come Augusto Murri, Bartolo Nigrisoli, Giacomo Ciamician, dello stesso Enriques. Salvatore Pincherle, Ugo Amaldi, Augusto Righi danno alle stampe importanti manuali scolastici. Nel 1921 la Zanichelli pubblicherà la prima edizione della Teoria speciale e generale della relatività di Albert Einstein, con prefazione di Tullio Levi-Civita. Dal 1930 con la presidenza di Isaia Levi - l’industriale torinese, cognato di Enriques, che evita il fallimento della ditta - si intensifica l’attività editoriale in ambito scientifico, scolastico e anche letterario. Nel 1935 la casa bolognese comincerà l’edizione nazionale di tutte le opere di Carducci.
immagine di "Virtus Happy Final"
14 giugno 2007
"Virtus Happy Final"
In preparazione della finale scudetto di basket contro la Montepaschi Siena, la Vidivici Virtus Bologna si allena in piazza Maggiore, accolta trionfalmente da oltre 2000 tifosi. I canestri e un bianco parquet in materiale plastico, prodotto dalla ditta del patron Sabatini, vengono montati in mattinata sul “crescentone”, davanti a San Petronio. Non manca in via Indipendenza un ironico striscione di benvenuto alla compagine di Markovski da parte dei cugini-rivali della Fortitudo.
immagine di Congresso nazionale del Partito popolare
14 giugno 1919
Congresso nazionale del Partito popolare
Si tiene dal 14 al 16 giugno a Bologna il primo congresso del Partito popolare, fondato il 19 gennaio e presieduto da Alcide De Gasperi (1881-1954). La linea aconfessionale sostenuta da don Luigi Sturzo (1871-1959) prevale sulla mozione di don Agostino Gemelli (1878-1959), direttore di “Vita e Pensiero”, per il quale il partito, pur autonomo dalla gerarchia ecclesiastica, deve dichiarare l'impostazione cristiana del suo programma. Il PPI otterrà subito ottimi risultati alle elezioni del 16 novembre 1919, con il 20% dei suffragi e l'invio di cento deputati in Parlamento. Un effetto della fondazione del Partito Popolare sarà la decisione di papa Benedetto XV di far decadere il divieto di partecipazione dei cattolici alla vita politica (non expedit).
immagine di La repubblica partigiana di Montefiorino
18 giugno 1944
La repubblica partigiana di Montefiorino
Le forze partigiane modenesi e reggiane attaccano i presidi della GNR sull'Appennino e li costringono al ritiro. L'ultimo a cadere è il più importante, quello di Montefiorino: la mattina del 18 giugno i combattenti della Brigata Modena entrano nella rocca ormai deserta. Si crea una zona libera nel territorio dei comuni di Montefiorino, Palagano, Frassinoro, Polinago nel modenese e Toano, Villaminozzo, Ligonchio nel reggiano. Qui i capifamiglia eleggono democraticamente nuove giunte amministrative, mentre dalla pianura affluiscono migliaia di partigiani in armi. Il 25 giugno è eletta la giunta di Montefiorino. Viene nominato sindaco il comunista Teofilo Fontana, protagonista della resistenza modenese. Il 7 luglio si crea il Corpo d'Armata Centro-Emilia, forte di circa 7.000 uomini, al comando di Armando Ricci. Tra le brigate provenienti dalla provincia di Bologna vi sono la Matteotti Montagna, una parte della Stella Rossa guidata Sugano Melchiorri e un forte nucleo di partigiani della 63a Brigata Garibaldi, tra i quali Corrado Masetti (Bolero). La zona liberata, nelle immediate retrovie del fronte, è di importanza vitale per l'esercito tedesco e dopo poche settimane è attaccata in forze. L'offensiva si svolge tra il 31 luglio e il 6 agosto, sviluppandosi su tre direttrici, secondo lo schema classico del "rastrellamento ad anello". Coinvolge oltre 5.000 soldati tedeschi e due battaglioni della GNR ben equipaggiati e dotati di mezzi blindati. Le formazioni partigiane sono costrette a rompere l'accerchiamento e a ripiegare nelle alte valli del Secchia e del Panaro o a scendere di nuovo in pianura. Una buona parte dei combattenti buttano le armi e si danno alla fuga disordinatamente. I tedeschi effettuano ritorsioni dando alle fiamme diversi paesi, tra i quali Montefiorino. Al termine della battaglia si contano circa 100 partigiani morti e oltre 200 civili prigionieri. L'esperienza della zona libera sarà ripresa nell'ottobre successivo in forma più ridotta, ma con una migliore organizzazione, e rimarrà in vita fino alla liberazione, nella primavera successiva.
immagine di "Bologna a testa in su" di Daisy Huo
2 aprile 2019
"Bologna a testa in su" di Daisy Huo
Dal 2 aprile al 5 maggio 2019 il Museo Davia Bergellini ospita la mostra Bologna a testa in su, dell'illustratrice Daisy Zuo, curata dall'Associazione culturale Hamelin. Nei suoi disegni Bologna è un luogo in cui realtà, fantasia, mistero si confondono: a immagini descrittive, che inquadrano alcuni scorci noti della città - il portico dei Servi. Il Teatro comunale, San Luca - si alternano visioni surreali, popolate di ombre, maschere, animali fantastici. Daisy Zuo è il nome d'arte dell'illustratrice cinese Zouchao Zuo (n. 1984), originaria di Hangzhou, presente alla Bologna Children's Book Fair nel 2018. E' stata scelta tra i tanti artisti che nel 2018 hanno partecipato al concorso indetto da Bologna Città della Musica Unesco e dall'Associazione Collegio di Cina. Ha trascorso un periodo in città con una residenza d'artista, esplorandola e raccogliendo immagini che hanno poi popolato l'album Bologna a testa in su. Nella mostra i disegni di quell'album, assieme a quelli di un calendario fantastico ispirato a Bologna e al Davia Bargellini, si insinuano tra i mobili, le ceramiche e gli oggetti del museo.
immagine di Bagno pubblico in Piazza XX Settembre
18 giugno 1899
Bagno pubblico in Piazza XX Settembre
In Piazza XX Settembre l'ing. Filippo Buriani costruisce un grande bagno pubblico, secondo il progetto approvato dalla Giunta comunale nel 1894. Si tratta di un bagno ad aspersione, dotato di cabine doccia, brevettato nel 1883 dal dermatologo tedesco Oscar Lassar e pienamente "rispondente all'esigenze e dell'igiene e dell'economia". Per il sindaco Alberto Dallolio si tratta di un vero e proprio "istituto educativo", che deve ispirare al popolo "il sentimento della dignità personale, il rispetto del proprio corpo". L'inaugurazione avviene il 18 giugno 1899. Il costo del servizio è fissato in 25 centesimi e comprende anche l'uso di biancheria e sapone. E' aperto dalle 8 alle 18 nei giorni feriali e dalle 7 alle 17 nei festivi. Il suo utilizzo durerà fino al 1940, quando il Comune, per motivi speculativi, venderà l'area all'Istituto Fascista per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (poi INAIL), intenzionato a costruirvi la sua sede. Anche dopo la demolizione dei bagni pubblici, però, e nonostante la redazione di un accurato progetto di recupero a cura dell’arch. Alberto Legnani, lo spazio rimarrà a lungo libero e allestito a giardino. L'albergo in seguito costruito su quest'area sarà definito "uno dei più evidenti scempi della speculazione edilizia del dopoguerra a Bologna".
immagine di Il giardino della Montagnola e i viali di circonvallazione
23 luglio 1805
Il giardino della Montagnola e i viali di circonvallazione
Il 23 luglio è indetto l'appalto per la potatura degli alberi e delle piante, che crescono disordinatamente sulla collina della Montagnola, situata accanto alla Piazza del Mercato e formata dal guasto dell'antica rocca di Galliera. Qui è prevista, "a norma del volere di sua Maestà" Napoleone Bonaparte, l'edificazione di un vasto giardino pubblico, un "delizioso passeggio", pensato come una promenade in stile francese, con una simmetrica alberatura. I lavori sono affidati a Giambattista Martinetti (1764-1830), architetto di fiducia del regime e buon idraulico, che realizza un grande spazio a base circolare, con quattro piazze all'esterno, ognuna con una vasca al centro. Queste peschiere saranno rimosse in una successiva sistemazione del giardino. Al cantiere della Montagnola collaborano anche l'architetto Giuseppe Tubertini (1759-1831) e il direttore dell'Orto botanico prof. Scannagatta. Vi lavorano centinaia di operai con carriole e “birocci” (i tipici carretti a due ruote per il trasporto della ghiaia). La collina è notevolmente allargata ai lati. Il declivio a ferro di cavallo verso la piazza del mercato è fiancheggiato da due larghi viali d’accesso, che consentono il transito delle carrozze. La terra necessaria è ricavata dal prato di San Benedetto ad ovest e dai cimiteri della Vita e della Morte a levante, dove è anche demolita la chiesetta di San Giovanni Decollato. Con questo ampliamento il centro della passeggiata delle carrozze è reso perfettamente circolare. E' inoltre deciso l'abbattimento della colonna del Mercato, eretta nel 1658 per celebrare la concessione ai bolognesi di una fiera annuale del bestiame da parte di papa Alessandro VII. L'operazione è necessaria “per rendere quella località simmetrica”. Il 7 dicembre 1805 il Viceré Eugenio Beauharnais visiterà il cantiere "con poche guardie bolognesi". I lavori del giardino si protrarranno nei mesi seguenti e termineranno nel 1808. Ben presto la Montagnola diventerà "la passeggiata di moda" di Bologna, dove si tiene il corso della città. Per volere di Napoleone è prevista anche la sistemazione dei bastioni cittadini. Attorno alle mura saranno tracciati viali di circonvallazione - “les quatre allées autour les ramparts” che l'imperatore chiama boulevards - destinati a diventare, a distanza di un secolo, uno degli assi portanti della viabilità bolognese. Per ora sono “il segno dell’avvertita esigenza di un ammodernamento della viabilità”, che non avrà “adeguata risposta nei decenni successivi” (G. Pesci) per l’immobilismo del governo pontificio. Oltre che sull'intero perimetro della "Circla" - la cerchia delle mura del '300 - i viali alberati saranno prolungati anche in direzione di Modena e Milano lungo l'antica via Emilia, da Porta San Felice fino al ponte sul Reno. Per “l'abbellimento” della Montagnola e dei bastioni sono assegnati i denari ricavati dalla vendita della tenuta della Samoggia, un tempo appartenuta al soppresso Collegio Montalto.
immagine di La Società ginnastica Sempre Avanti!
12 maggio 1901
La Società ginnastica Sempre Avanti!
Nasce la Società Ginnastica Educativa Sempre Avanti!, sezione della Società Operaia maschile di Bologna. Il gruppo fondatore ha tenuto le riunioni preparatorie nella sala della Società di ballo Boheme in via Barbaziana (poi via C. Battisti n. 24) e in aprile si sono aperte le iscrizioni alla sezione ginnastica per i soci dell'Operaia. Intanto una squadra di ginnasti ha iniziato ad allenarsi, sotto la guida del prof. Remigio Legat, in vista della partecipazione al Concorso ginnastico federale, previsto a Bologna per il 16-19 maggio. La festa di inaugurazione della Sezione Ginnastica si tiene il 12 maggio, condotta da Gaetano Cuppi per la Società Operaia e dal professor Francesco Pullè per l’Università popolare “Giuseppe Garibaldi”. Primo presidente viene eletto Ugo Gregorini-Bingham, personaggio di spicco nella vita politica cittadina. Remigio Legat assume l'incarico di direttore tecnico. La divisa sociale è composta da una maglia bianca e calzoncini blu, con una larga fascia rossa alla cintura, un berretto floscio e una tracolla bianca e rossa. La società promuove l'attività sportiva, ma negli anni iniziali organizza anche manifestazioni di beneficenza e partecipa a campagne politiche. Sarà una delle prime società sportive in Italia a costituire una sezione femminile (1906). Dalle sue file usciranno atleti vincenti nelle più varie discipline: da Oreste Passuti, primatista italiano nel lancio del giavellotto (1913), a Adolfo Tunesi, medaglia d'oro nel penthatlon alle Olimpiadi di Stoccolma (1912). La palestra sociale è dapprima in via Barbaziana n. 8, poi in via Banzole n. 4. Nel 1904 si trasferirà in un camerone denominato “la Viola”, situato accanto a una stalla nel Prato di San Giuseppe, fuori Porta Saragozza. Nei giorni di mercato il locale verrà occupato da cavalli e biroccini. In seguito sarà la volta di locali, sempre precari, in via Malpertuso, in vicolo Otto Colonne, in via del Pratello, fuori Porta Lame. Gli esercizi all'aria aperta saranno svolti in vari luoghi periferici: ai Prati Garagnani (o dell'Eritrea), fuori Porta Galliera, in Piazza VIII Agosto, ai Giardini Margherita, a San Michele in Bosco, nei Prati di Caprara o di Filopanti, in fondo a via Capo di Lucca. Nel 1911 la Società occuperà finalmente una sala in via Maggia (o via San Gervasio), dietro palazzo Lambertini, sede del Liceo Minghetti. Presto sarà da tutti conosciuta come “la palestra della Sempre Avanti!” Vi si terranno soprattutto incontri di pugilato e di lotta greco-romana. Da qui usciranno campioni quali Aleardo Donati, Federico Malossi, Giuseppe Battistoni e, soprattutto, Francesco Cavicchi, il peso massimo idolo degli sportivi bolognesi, sul trono europeo nel 1955. Rimarranno memorabili gli incontri del campionato a squadre di lotta greco romana contro la Faenza Sportiva.  
immagine di Renato Dall’Ara
Renato Dall’Ara
Nato a Reggio Emilia nel 1892, facoltoso industriale della maglieria, Renato Dall’Ara divenne una figura di spicco dello sport bolognese. Cominciò ad occuparsi di calcio quasi per caso, dopo la caduta in disgrazia di Leandro Arpinati e lo scioglimento della Società “Bologna Sportiva”, che per suo volere aveva radunato tutti i principali club della città.  
immagine di Velodromo
Velodromo
@ Parco del Velodromo
Il motovelodromo bolognese fu inaugurato l'8 maggio 1920 in un'area fuori Porta San Felice, a breve distanza dall'ippodromo Zappoli.
immagine di Unipol Arena (già PalaMalaguti e Futur Show Station)
Unipol Arena (già PalaMalaguti e Futur Show Station)
@ Unipol Arena
Nel 1993 a Ceretolo, frazione di Casalecchio di Reno, in un'area già occupata da grandi strutture commerciali, venne inaugurato il PalaMalaguti, un palazzo dello sport da 13.000 spettatori, progettato dall'ex olimpionico di equitazione Mauro Checcoli e dall'ing. Francesco Zarri.
immagine di Chiesa di San Benedetto
Chiesa di San Benedetto
@ San Benedetto
Di origini duecentesche, fu completamente riedificata nel 1606 su disegno di G. B. Ballerini. La facciata, una volta su via Galliera, fu rifatta nel 1892, con aggiunta del portico, per adeguarsi al tracciato della nuova via dell'Indipendenza. Nell'interno dipinto di G. Cavedoni, A. Tiarini, C. Aretusi, L. Massari, E. Procaccini il Vecchio, U. Gandolfi (1769) e una statua di A. G. Piò.
immagine di Cà Grande dei Malvezzi
Cà Grande dei Malvezzi
@ Cà Grande dei Malvezzi
Costruita nel 1444, venne ampliata nei secoli successivi e riammodernata nel Settecento per volere di Sigismondo II Malvezzi. Nell'interno si trovano due sale affrescate da Ubaldo Gandolfi e Davide Zanotti raffiguranti Ercole al bivio e Ercole assunto in Olimpo, databili al 1780; soffitti con allegorie di Filippo Pedrini e Davide Zanotti e una galleria "all'antica" progettata da Carlo Bianconi.
immagine di Palazzo Tubertini
Palazzo Tubertini
@ Tubertini
L'antico palazzo dei Ludovisi fu del tutto ricostruito dalla famiglia Tubertini nel 1770, su progetto di Giandomenico Dotti, con l'assistenza di Raimondo Compagnini.
immagine di Palazzo Malvezzi Campeggi
Palazzo Malvezzi Campeggi
@ Palazzo Malvezzi Campeggi
Costruito nella prima metà del Cinquecento da Andrea e Giacomo Marchesi da Formigine per volere di Cesare Malvezzi. Si conserva in fondo all'elegante cortile la statua d'Ercole di G. Mazza. Nel Settecento la famiglia Campeggi ne trasformò gli interni, che vennero decorati con affreschi di V. M. Bigari e G. B. Paolazzi, tempere di C. Lodi e A. Rossi, stucchi di G. Mazza e ornati di C. Nessi.
immagine di Riccardo Bacchelli
Riccardo Bacchelli
La collocazione di Riccardo Bacchelli nell'ambito della cultura non solo bolognese ma nazionale non è semplice: si avverte in lui l'influenza sia dei rondisti che dei vociani; estremamente versatile tende continuamente alla sperimentazione dei vari generi letterari. Nel suo animo, indubbiamente romantico, si fondono una sensibilità quasi proustiana con un eccessivo raziocinio da cui deriva una letteratura non del tutto lirica né del tutto moralistica. (M.L. Bramante Tinarelli) Bacchelli nasce a Bologna nel 1891, da una agiata famiglia borghese, primo di cinque fratelli. Il padre Giuseppe è avvocato, liberale, presidente della Deputazione Provinciale e Deputato del Regno. La madre, Anna Bumiller, amante dei grandi poeti dell'Ottocento, aiuta Carducci a leggere e tradurre i lirici tedeschi. Compiuti gli studi medi al liceo classico Galvani, si iscrive alla Facoltà di Lettere, abbandonandola al terzo anno di corso. Entra in questo periodo in contatto con gli ambienti letterari. Tra il 1912 e il 1916 collabora con la "Voce". Fa il suo esordio come scrittore nel 1911 con il romanzo Il filo meraviglioso di Lodovico Clò. Nel 1914 dà alle stampe i Poemi lirici. Durante la Prima Guerra Mondiale si arruola volontario come ufficiale di artiglieria. Nel 1918-1919 collabora con Giuseppe Raimondi alla "Raccolta", una rivista letteraria, che nella sua semplicità e modestia echeggia ancora "una uniformità di consuetudine appresa nella vita militare". Nel 1919 è tra i fondatori della rivista letteraria "La Ronda". In questi anni si dedica intensamente al teatro con testi che "innestano sull'esperienza personale un misto di lirica e di storia, mentre la forma si fa elaborata al limite del concettoso". Pubblica Amleto (1919), Spartaco e gli schiavi (1920), Presso i termini del destino (1922) e le Memorie del tempo presente. E' conosciuto come "il giovane Goethe bolognese". Dal 1922 al 1928 scrive con regolarità sul "Resto del Carlino": si tratta della prima delle numerose collaborazioni con testate quali "La fiera letteraria", la "Nuova Antologia", "L'Italia letteraria" e il "Corriere della Sera". Nel 1926 si trasferisce a MIlano "per distanziarsi dal suo ambiente, per trovarsene uno nuovo e diverso che non gli dicesse troppo". Nel capoluogo lombardo inventa ed è poi presidente a vita del Premio letterario Bagutta. Per la sua estesa attività letteraria, che spazia dalla lirica al teatro, dal romanzo al saggio storico, dalla critica musicale alla prosa, riceve lauree ad honorem a Milano e Bologna. Dal 1940 al 1944 è membro dell’Accademia d’Italia. Nel dopoguerra è socio della Crusca e dei Lincei. Muore a Monza nel 1985. La produzione letteraria di Bacchelli spazia tra vari generi, privilegiando il romanzo storico. Ne Il diavolo a Pontelungo (1927) racconta del tentativo di insurrezione anarchica avvenuta nel 1874 a Bologna, che vide tra i protagonisti Michail Bakunin e Andrea Costa. Il suo capolavoro, la trilogia Il Mulino del Po (1938-40), narra le vicende di alcune generazioni di contadini padani tra 800 e 900. Da questo lavoro è stato tratto nel 1963 un fortunato sceneggiato televisivo per la regia di Sandro Bolchi.
immagine di Francesco Leonetti
Francesco Leonetti
Nasce a Cosenza nel 1924. Esordisce precocissimo come poeta, pubblicando a soli diciotto anni, presso il libraio Landi di Bologna, la raccolta Sopra una perduta estate (1942), in contemporanea con gli analoghi lavori degli amici Serra, Pasolini e Roversi. Dopo essersi laureato nel 1945 in filosofia, con un tesi su Tommaso Campanella, comincia a lavorare in due diverse biblioteche, la Malatestiana di Cesena e l'Archiginnasio di Bologna (1946-1961). Questa esperienza professionale è decisiva per la sua formazione intellettuale: il vasto patrimonio di conoscenze acquisito influenza profondamente la sua arte e il suo approccio alla letteratura. Le poesie mostrano chiaramente le tracce della sua notevole erudizione: sono tanti i richiami a classici quali Dante, Carducci, Pascoli. Ed è chiaro il tentativo di conciliare la tradizione letteraria italiana con la necessità di un nuovo e più aggiornato linguaggio. Il primo prodotto poetico di una certa rilevanza, La cantica (1959), è un esempio della sua ricerca artistica, un tentativo "di combinare ideologia e forma poetica e di ridefinire il ruolo dell'artista / intellettuale nella società moderna" (P. Chirumbolo). Nel 1955 fonda, assieme a Pasolini, la rivista "Officina", laboratorio di importanza decisiva per la cultura italiana del secondo Novecento. Essa rappresenta il primo sforzo concreto di rinnovare il panorama letterario e di mettere in discussione i canoni dell'ermetismo e del neorealismo. Con Pasolini, Roversi, Romanò e Fortini si impegna nell'esplorazione di nuovi linguaggi e stili. Personalmente si dedica alla messa a punto di un linguaggio più colloquiale e "basso", tra prosa e poesia. Alla rivista fornisce, oltre a diverse poesie, alcuni saggi critici cruciali. Nel 1956 pubblica presso Einaudi il suo primo romanzo, Fumo, fuoco e dispetto (1956), che piace a Elio Vittorini per il suo estro "eterogeneo ed eccentrico, poliforme, praticamente barocco". Nel 1960 inizia la sua collaborazione con "Il Menabò" di Vittorini. Sotto la sua supervisione affronta nuovi indirizzi teorici come lo strutturalismo, la semiotica, la psicoanalisi lacaniana. In questo contesto è da collocare lo sforzo di pubblicare una rivista internazionale, "Gulliver", con l'idea di creare una rete tra i migliori intellettuali europei, quali Blanchot, Enzensberger, Barthes, Butor, Grass, Bachmann. Pasolini parla di un sistema di segni "escogitato ridendo" con Leonetti e Calvino nella solita sosta, nel Nord.Segni per sordomuti, con ideografieuna volta per sempre internazionali. Lo sforzo di conciliare varie influenze, quali lo strutturalismo e il marxismo, produce notevoli risultati teorici, contenuti in saggi quali La negazione in letteratura (1964) e L'eversione costruita (1965), e alcuni dei risultati più interessanti della sua produzione letteraria, quali i volumi, tra narrativa e saggistica, Conoscenza per errore (1961), L'incompleto (1964) e Il tappeto volante (1967). In queste opere fornisce analisi stimolanti del rapporto tra letteratura e politica e si sforza di rendere, a livello espressivo, la scissione della coscienza nella società contemporanea. Nel 1963 si trasferisce a Milano. Lavora come attore nei film di Pasolini Il Vangelo secondo Matteo, Edipo re, Capriccio all'italiana. In Uccellacci e uccellini è sua la voce "gracchiante, calabro-emiliana, dalle vocali strascicate sino all'inverosimile" del corvo (Cortellessa). Dirige il film Processo politico (1970). Dal 1971 al 1995 insegna estetica all'Accademia di Brera. Lo sperimentalismo di alcune sue opere anticipa le poetiche della neoavanguardia italiana. Nonostante non sia considerato un membro del Gruppo 63, è evidente la parentela tra i suoi lavori e quelli di scrittori quali Edoardo Sanguineti e Nanni Balestrini, che rivelano scopi artistici e ideologici affini. Nel 1967 la sua carriera intellettuale ha una svolta. Assieme a Roberto Di Marco, Gianni Scalia e Arnaldo Pomodoro, fonda "Che fare", organo ufficiale della Nuova Sinistra. E' una rivista che si occupa di teoria politica, ma che segue da vicino la prassi delle rivolte e delle lotte giovanili. In questi anni l'impegno politico si fa per lui quasi esclusivo. Oltre alla collaborazione a importanti riviste quali "Campo" e "Alfabeta", della quale è anche condirettore, i prodotti migliori dell'ultimo periodo sono il romanzo Campo di battaglia (1981), finalista al Premio "Viareggio", le poesie di Palla di filo (1986), il poemetto Cose del cielo (1989), L'arte lunga (1992), Le scritte sconfinate (1994), Il leone e la volpe (1995), con l'amico Paolo Volponi, e infine la provocatoria autobiografia La voce del corvo. Una vita 1940-2001. Muore nel 2017 a Milano.
immagine di Vincenzo Cardarelli
Vincenzo Cardarelli
Che ne so io degli Etruschi? Quel tanto solo che m'è dato immaginare, essendo nato, si può dire, in mezzo alle loro tombe ... La civiltà etrusca, evocata di frequente come simbolo morale nelle prose e nelle poesie, ha guidato Vincenzo Cardarelli tra le vicissitudini e le difficoltà della vita. Dopo aver vissuto l'infanzia a Tarquinia, facendo studi irregolari, a diciassette anni fugge a Roma, dove per vivere fa i mestieri più vari. E' dapprima correttore di bozze e poi redattore all' “Avanti!”, dove avvia la sua carriera di giornalista. Comincia a collaborare a vari periodici, dal “Marzocco” al “Resto del Carlino”. Riformato per una malformazione congenita, evita la guerra. Frequenta invece a Firenze l'ambiente letterario della “Voce”, facendo amicizia con Soffici e De Robertis. Nel 1919 interrompe la collaborazione avviata a Roma con il quotidiano "Il Tempo" e si impegna come redattore e direttore della "Ronda", rivista da cui scaturirà un nuovo movimento letterario. Per essa, nel primo numero, detta tre punti programmatici: simpatia per il passato e culto dei classici; leggere e scrivere elegante non come forma, ma come trasparenza dei moti dell'animo; attenzione alle letterature straniere, ma senza "spatriarsi". Nel 1925 inizia a scrivere per il quotidiano "Il Tevere" di Telesio Interlandi, occupandosi di teatro e letteratura. L'anno seguente avvia con Giuseppe Raimondi una collaborazione a "L'Italiano" di Leo Longanesi. Negli anni seguenti è inviato in Russia e scrive sul "Bargello" di Firenze. Pubblica numerose poesie, resoconti di viaggio, prose autobiografiche. A Roma frequenta il caffè Aragno, con amici scrittori quali Cecchi, Soffici, Ungaretti. Nel 1948 vince il Premio Strega con Villa Tarantola e nel 1954 il Premio Napoli con Viaggio di un poeta in Russia. Dal 1949 dirige, assieme a Diego Fabbri, il periodico "La Fiera Letteraria". Amante di Baudelaire e Leopardi, Cardarelli è stato un abile conversatore e un letterato "polemico e severo". Dopo una vita vagabonda e solitaria, è morto povero a Roma nel 1959. (Liberamente tratto da: Wikipedia - Vincenzo Cardarelli) Si fermava spesso a Bologna Nel dopoguerra il gruppo fondatore della "Ronda" effettuava a volte "il suo annuale congresso di partito all'ombra delle due torri". Raimondi, che della rivista era il segretario, ha ricordato che l'arrivo in città di Cardarelli "metteva curiosità e aspettativa". Una volta per stagione, o anche più di rado, il poeta di Tarquinia "sembrava desiderare di ritrovarsi ad un tavolo di trattoria o di caffè" con l'amico Giuseppe Bacchelli, uno dei “sette savi”. Uscendo dalla bella sala liberty del caffè di San Pietro, gli amici Raimondi, Morandi e Bacchelli passeggiavano con Cardarelli lungo via Indipendenza. Ad essi forse si univa anche il giovanissimo e vulcanico Longanesi, ideatore dell' “Italiano”, un periodico decisamente innovativo, al quale tutti collaboreranno. Nel 1929 Morandi e Longanesi furono pienamente coinvolti nella pubblicazione della raccolta di prose d'arte Il Sole a picco, che contribuì alla definitiva affermazione del poeta di Corneto Tarquinia, vincendo quell'anno il premio Bagutta. Il volume uscì in mille copie per le Edizioni dell'Italiano, stampato in caratteri bodoniani su inedite pagine di granturco e con 22 disegni del pittore bolognese. Per la prima ed unica volta nella sua carriera Morandi produsse un set completo di illustrazioni per un testo letterario, segno di affinità e consonanza profonda con la poetica dello scrittore laziale. E' il tempo del rientro nell'ordine di Cardarelli, dell'accostamento a Leopardi, sedentario e malinconico, eletto a modello morale e di stile. Alla sua “deserta poesia dei luoghi fuori mano” fanno eco i paesaggi senza tempo della periferia bolognese e dell'Appennino - o le più rare nature morte - di Morandi. L'amicizia e la solidarietà dei “bolognesi” nei confronti di Cardarelli durerà nel tempo. Nel 1947 Morandi metterà all'asta alcuni suoi dipinti per aiutarlo economicamente. Nel 1962 Raimondi curerà per Mondadori l'edizione delle Opere complete del poeta.
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Adriano Spatola
Nasce a Sapjane, in Istria, nel 1941. Studia a Bologna al Liceo classico "Galvani" e si iscrive alla facoltà di Lettere. Nel 1961 pubblica presso Tamari il suo primo libro, Le pietre degli dei, di taglio post-ermetico. In questo anno è pubblicata l'antologia dei Novissimi. Poesia per gli anni ‘60. Nanni Balestrini, Alfredo Giuliani, Elio Pagliarani, Antonio Porta ed Edoardo Sanguineti gettano le basi per una nuova poesia sperimentale, che vada oltre le pur valide proposte provenienti da "Rendiconti" e "Officina" (Roversi e Pasolini). Illuminante è il suo incontro con Luciano Anceschi, docente di estetica e fondatore della rivista "Il Verri", di cui segue i corsi all'Università e che lo condurrà, attraverso le esperienze del Gruppo 63 e della Neoavanguardia, sulla strada della Poesia Totale. Nel 1962 nell'osteria dei Poeti nasce la rivista di poesia "Bab Ilu", di cui Spatola è promotore assieme a Giorgio Celli, Patrizia Vicinelli, Carlo Marcello Conti, Miro Bini, Gianni Celati, Carlo Negri. Ne escono solo due numeri e la redazione è nella casa della famiglia in via Andrea Costa. Accoglie, tra gli altri, scritti di Emilio Villa, riconosciuto come uno dei poeti italiani più interessanti. L'anno seguente Spatola partecipa a Palermo al primo storico convegno del Gruppo '63, patrocinato da Umberto Eco e Luciano Anceschi. Fortemente influenzata dal movimento artistico-letterario americano "Fluxus", nasce la neoavanguardia letteraria italiana. Anceschi appoggia la pubblicazione di un suo articolo sulle nuove strade della poesia sulla prestigiosa rivista "Il Mulino" e gli affida la rubrica delle recensioni letterarie sul "Verri". In questo periodo Spatola collabora anche a "Nuova Corrente" e inizia la sua attività di traduttore dal francese. Fra le sue traduzioni si ricordano quelle di Sade e Aragon. Nel 1964 esce da Feltrinelli il suo romanzo sperimentale L'oblò, che lo pone all'attenzione della critica. Con il contributo fondamentale di Giorgio Celli, progetta il movimento del Parasurrealismo, che propone una rielaborazione della storica avanguardia in chiave più fredda, non ideologica. Sua espressione è la rivista "Malebolge", pubblicata a Reggio Emilia tra il 1964 e il 1967, alla quale collaborano, oltre a Spatola e Celli, anche Vincenzo Accame, Giovanni Anceschi, Corrado Costa, Antonio Porta e Nanni Scolari. Nel 1965 pubblica a Bologna presso l'editore Sampietro due libretti di poesia concreta: Poesia da montare e Zeroglifico, mentre nel 1966 esce a Milano per Scheiwiller la raccolta di poesie L'ebreo negro, "una sorta di vademecum lirico/ironico di tutti gli stilemi e le acrobazie della poesia surrealista". In seguito Adriano si trasformerà in un poeta visuale, concreto soprattutto, sconfinando nella pittura, e scoprirà una forte vocazione per il gestuale. Tra le altre sue opere di poesia sono da annoverare: Zeroglifico (1966), Parole sui muri (1968), Majakovskiiiiiij (1971), Algoritmo (1973), Diversi accorgimenti (1975), La piegatura del foglio (1983). Nell'agosto del 1967 il sindaco di Fiumalbo Mario Molinari, amico di Antonio Delfini, promuove, con la collaborazione di Claudio Parmiggiani e Adriano Spatola, la rassegna poetica Parole sui muri, "una sorta di prova generale di comunicazione artistica interdisciplinare, intermodale e intermediale", pagina memorabile della storia dell'avanguardia. Nel 1968-69 collabora a Roma alla redazione di "Quindici", l'ultima rivista del Gruppo 63. Nel 1968 fonda a Torino, con il fratello Maurizio, le Edizioni Geiger, dove è introdotto, per la prima volta in Italia, il modello editoriale dell'assembling press. Con le edizioni Geiger crea la testata "Tam Tam". Il Mulino di Bazzano, in Val d'Enza, prima sede redazionale della rivista, diventa dal 1971 un luogo di riferimento essenziale dell'avanguardia poetica internazionale. Assieme alla compagna Giulia Niccolai, da questo luogo appartato e segreto promuove iniziative editoriali, organizza rassegne, mostre e festival. Nel 1976 Spatola entra nella redazione di "Doc(k)s", rivista internazionale di poesia diretta dall'amico Julien Blaine. Assieme all'editore Ivano Burani inventa "Baobab", prima audiorivista di poesia sonora italiana. Fra il 1981 e il 1984 dirige la rivista romana "Cervo Volante". Numerose sono le sue performance le azioni poetiche, le partecipazioni a rassegne, fino alla morte, avvenuta a Sant'Ilario d'Enza nel 1988.
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Là dove c’era l’erba …
Splendori e miserie della periferia bolognese. Una storia del secolo ventesimo. Stretta (o adagiata?) fino al 1902 tra le sue mura, dopo il loro controverso abbattimento la città si espande in momenti successivi e con stili diversi: prima i salubri e piccolo-borghesi rioni giardino pedecollinari, subito dopo la Bolognina operaia, con i palazzoni del Risanamento e dell’Istituto Case Popolari.
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Arpad Weisz e il razzismo nello sport
Contro il razzismo nello sport Non fosse stato per le leggi razziali che comparvero nel ‘38, nel Bologna Arpad Weisz ci sarebbe rimasto chissà quanto. Dovette andarsene, dapprima a Parigi e poi in Olanda, ma la cosa più brutta fu il silenzio gelido che l’accompagnò. Nemmeno una riga sui giornali, nemmeno l’ombra di un pubblico apprezzamento per il lavoro fatto. Questo debito di gratitudine e di rispetto il Bologna purtroppo non ha mai potuto saldarglielo. Di Arpad Weisz e della sua famiglia si seppe un giorno che erano morti in un lager. (G. Marchesini, Bologna: 80 anni di gloria, Bologna 1988, vol. 1., p. 136)
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La montagna bolognese nel medioevo
"Case di pietra, ponti di pietra grigia. In uno scenario di bellezza antica, tocca il Reno a Marzabotto i borghi di case murate al sasso, che lo sovrastano e sentono urtare dalle fondamenta ... Al piano si allarga e si sfianca, dove lo raggiungono le ombre dei parchi gentilizi e dei mulini fragorosi".
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Guglielmo Marconi
Guglielmo Marconi ricevette il Premio Nobel per la Fisica il 10 dicembre 1909. Erano passati solo pochi anni da quando, da una finestra della sua villa di Pontecchio, a due passi da Bologna, aveva lanciato i primi segnali di telegrafia senza fili. 
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Piazza Calderini
@ piazza Calderini, Bologna
Questa stretta piazza alberata, di stile "borghese" come le vicine piazze Minghetti e Cavour, faceva parte nel periodo romano dell'antico pretorio. Vi si affacciano alcuni bei palazzi: il palazzo Zambeccari-Lucchini ha, nella Sala dei Quaranta, un camino di Annibale Carracci, mentre il palazzo Francia sorge sull'antico convento dei Camaldolesi. > Angiolo Silvio Ori, Bologna raccontata. Guida ai monumenti, alla storia, all'arte della città, Bologna, Tamari, stampa 1976, p. 61
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Stazione centrale
@ Piazza Medaglie Oro, Bologna
Fu costruita tra il 1871 e il 1876 dall'ing. Gaetano Ratti. Sostanziali lavori di ampliamento (il sottopassaggio, il salone centrale, il ponte di Galliera) furono completati nel giugno del 1926. Sulla facciata e nella sala d'aspetto alcune lapidi ricordano la strage avvenuta il 2 agosto 1980, quando una bomba ad alto potenziale distrusse completamente l'ala occidentale. > Tiziano Costa, Marco Poli, Conoscere Bologna, Bologna, Costa, 2004, p. 151
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Oratorio dello Spirito Santo
@ via Val Aposa, Bologna
La chiesetta dello Spirito Santo presenta una facciata completamente decorata di terracotte del Quattrocento, attribuite a Vincenzo Onofri o allo Sperandio di Mantova. Eretta nel 1481 dai padri Celestini per custodire degnamente un'immagine mariana, divenne nel 1497 sede della Compagnia dello Spirito Santo, fondata dal giureconsulto Lodovico Bolognini. Soppressa la Compagnia alla fine del '700, la chiesa fu profanata e manomessa. In particolare è andata perduta la pala dell'altare maggiore, opera del 1567 di Giovanni Battista Ramenghi. > Luigi Bortolotti, Bologna dentro le mura. Nella storia e nell'arte, Bologna, La grafica emiliana, 1977, p. 51
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Baraccano
@ Piazza del Baraccano, 2, Bologna
Fin dal 1403 esisteva sul luogo una cappella addossata alle mura, che fu ampliata e porticata nel 1524. La cupola è stata edificata su disegno di Agostino Barelli (1682). L'attico sopra la facciata è invece del Settecento. Nel timpano è una Madonna in terracotta di Alfonso Lombardi, mentre le statuette dei santi protettori di Bologna sono dello Sperandio. Una antica consuetudine vuole che in questa chiesa vengano gli sposi novelli a chiedere protezione alla Madonna il giorno stesso del matrimonio. Il Conservatorio del Baraccano fu sede anticamente di un ospizio per pellegrini, poi di un collegio per ragazze povere. Oggi è la sede degli uffici del Quartiere Santo Stefano. Il lungo portico del collegio su via Santo Stefano ha bei capitelli ornati con gli stemmi dei Bentivoglio e dei Visconti. > Bologna e provincia, a cura di Giancarlo Bernabei, Bologna, Santarini, 1995, pp. 72-73