Penelope a Porta Saragozza

 

La prima volta è stata il nove dicembre. Lei si è seduta accanto a lui e gli ha letto un racconto: Silva, detto l'Occhio; letto o raccontato, Leoni non lo sa bene - c'era così poca luce.

Da allora è così ogni notte.

Al mattino è tutto come sempre, la sua casa, la sua vita da solo, i tetti tra Frassinago e Sant'Isaia; ma il caffè nella moka è festa e alba, alba gelata, l'alba dei vecchi a porta Saragozza - così vicino ai colli - alba fragrante come pane.

Da mesi non usciva quasi più, Leoni. Ora cammina tutte le mattine; nella matassa dei vicoli respira brina e pensa a Beatriz Viterbo, a Silva detto l'Occhio, a Arone Pakiz ebreo coi rizi, a un certo Cagnolati alla stazione di Park Street. Tutta gente che, fino all'altro giorno, nemmeno un'idea. Sua moglie, suo figlio remoti e altrove; quei pochi amici e parenti ancora più lontani, persi nel tempo e nello spazio; la sua carriera, finita ben prima della pensione - il giorno in cui aveva rifiutato, senza nemmeno una parola, un favore in un appalto importante.

 

Certe mattine sale lungo i portici di Saragozza fino alla biblioteca di Villa Spada, verde brinato e gelido sul fianco della collina; ore di Resurrezione e Cechov, o solo guardare gli alberi. Un giorno prende via Saragozza verso il centro, giù a piedi lungo i portici bui, il Collegio di Spagna e poi la piazza. Nella biblioteca grande la vede davanti al bar, la vede e soprattutto riconosce la sua voce, voce brunita e calda, un po' straniera, nel viavai dei lettori di mattina. Ha i capelli rossi ed è pallida, ha preso un caffè stretto senza zucchero. Ma sei davvero tu. Sì, Leoni. Come ti chiami. Penelope. Verrai ancora, Sì.

 

Viene ogni notte, si siede accanto al letto o alla poltrona. Gli dice di Colly e dei trilobiti; di Austerlitz e di Lizzy, di un giovane chiamato Luc; e Luca che morì a Lissa, e la casa del nespolo in malora. Giuseppe sull'uscio della bottega, nel vuoto largo di piazza Santo Stefano; Nina che vende rose, e zia Rose che si sposa all'improvviso, già vecchia - una festa ascoltarla. E un'altra cosa che Leoni ricorda poco, solo un passo a metà tra veglia e sonno: La vanità degli scrittori è nelle chiacchiere, nei pezzi facili di autobiografia. Col tempo resta polvere e parole, e a volte quattro righe in copertina, quelle che si sbiadiscono per prime. Sono le notti più lunghe dell'anno.

 

Il ventiquattro telefona suo figlio, dice che non può muoversi da Milano: Vieni su in treno, babbo, gli dice.

Leoni va all'agenzia, chiede gli orari per Milano, ma poi pensa a Penelope e rinuncia. Quella notte non c'è quasi rumore, strano per la vigilia di Natale - solo un cane che abbaia giù in strada.

Penelope è venuta e gli ha letto Fiesta.

 

La notte del tre gennaio è nevicato. Luna piena sul mare bianco dei tetti; e di là, dalla parte dei colli, dove le luci delle case tremano. E lei gli ha detto di un poeta russo, uno che raccontava ai suoi compagni, ai lavori forzati, Petrarca e Dante imparati in italiano.

Il libro delle sonore argille, la libresca terra,

Il libro putrefatto, la diletta argilla

Che ci tormenta come musica e parole.

 

Il diciassette, un mattino limpido, Leoni è tornato all'agenzia di viaggi; chiede un biglietto per Venezia, domani, partenza all'alba. Mentre gli dà i biglietti e il resto, l'impiegata gli dice che non è mica una cosa da turisti, Venezia in gennaio. E' vero, risponde lui, è una cosa da poeti russi. Poi dice che l'inverno è una stagione astratta, e intanto controlla il resto.

Scende a Santa Lucia, prende per Cannaregio e guarda attorno: vento largo, il Ghetto, tutto è lì e gli ricorda troppe cose, un misto di giovinezza e di putredine. Così, come per perdersi, entra nel labirinto delle calli.

Fondali d'acqua scura, calli senza botteghe, una storia che aveva letto e dimenticato; poi, quasi con stupore, vede sorgere in fondo la laguna.

Leoni alle Fondamenta Nuove. Una barca arriva dall'isola di fronte - un'isola cinta di mura, un'isola crestata di cipressi - e rompe l'acqua in un mosaico di luce. Leoni vede il profilo delle Alpi, lontano, bianco di neve oltre la laguna.

Non che non lo sapesse possibile. Eppure è proprio la sorpresa - non la bellezza in sé, non la grandezza, e nemmeno la distanza - è la sorpresa, a fargli quasi paura.

 

Senti che aria, Leoni.

Penelope è appena scesa dalla barca: ha le guance rosse di freddo, un ciuffo rosso fuori dal berretto; senti che odore, alghe marine sotto zero.

Stanno lì, dove attraccano le barche, fermi a guardare il tempo e l'acqua.