Scrittori e scrittrici

Palazzo Ghisilardi Fava - Casa del Fascio

via Manzoni, 4

Arpinati era l'uomo che in più di una occasione aveva dimostrato fedeltà al fascismo anche difendendo, alla testa dei suoi uomini, la riforma Gentile avversata sia dagli universitari antifascisti che dagli studenti fascisti, lealtà che contribuì a farne in poco tempo il leader indiscusso del fascismo felsineo.

(S. Salustri)

 

Bologna fu una delle prime città in Italia a dotarsi di una Casa del Fascio, istituzione nata per consolidare e propagandare il movimento mussoliniano dopo la sua costituzione in partito politico.

All'inizio del 1922 il segretario del fascio bolognese Leandro Arpinati scelse un antico edificio del centro di proprietà del Comune, palazzo Ghisilardi-Fava, e ne affidò il restauro al suo architetto di fiducia, Giulio Ulisse Arata. La ristrutturazione comportò gravi manomissioni e alterazioni degli spazi interni e la rimozione e la perdita di numerosi resti archeologici.

In breve tempo la Casa del Fascio diventò la vera e propria centrale operativa del fascismo bolognese. Vi trovavano sede, oltre al partito, l'Università fascista, la cappella dei Martiri fascisti, un ufficio postale e telegrafico, un ristorante, un albergo diurno tra i più grandi e moderni in Italia, una biblioteca pubblica e le redazioni del giornale "L'Assalto" e del mensile "Vita Nova".

Quest'ultimo periodico, diretto da Giuseppe Saitta, allievo di Gentile, che si firmava con lo pseudonimo di Rusticus, era espressione di un gruppo di intellettuali fascisti di derivazione liberale, quali Giuseppe Lipparini e Giuseppe Albini. Gli editoriali si occupavano di organizzazione e di politica dello Stato fascista, mentre la parte centrale ospitava approfondimenti su opere d'arte, testi e autori classici, personaggi e avvenimenti storici "riletti in chiave della tradizione e delle virtù italiane incarnate dal fascismo".

La rivista riportava inoltre gli atti della Università fascista bolognese, fondata da Arpinati sul modello delle vecchie università popolari. Inaugurata il 9 marzo 1925 presso la Casa del Fascio, con un discorso di Giovanni Gentile, il 29-30 marzo successivo l'Università ospitò il Convegno per la cultura fascista, preludio del famoso Manifesto degli intellettuali fascisti, ispirato dal filosofo dello stato etico. Nei mesi seguenti chiamò grandi nomi del regime a tenere conferenze, dallo stesso Gentile a Panunzio, da Bottai a Evola. Gli interventi furono poi ripresi e ampliati sulle pagine di "Vita Nova".

Longanesi e Renzi all'"Assalto"

Nel loggiato interno di Palazzo Ghisilardi c'era la sede del giornale "L'Assalto", organo della Federazione fascista bolognese, stampato in piazza Calderini, presso la tipografia Tamari.

Esso fu diretto fino all'ottobre del 1931 da Leo Longanesi, scrittore, giornalista e innovatore della grafica, esponente di Strapaese e fedelissimo di Arpinati. Fu destituito su due piedi, dopo un violento attacco al senatore Tanari, esponente-simbolo della borghesia conservatrice bolognese e a nulla valse il favore del ras, che approfittò dell'occasione per liberarsi di un personaggio divenuto scomodo.

Tra i collaboratori del giornale vi fu il giovane Renzo Renzi, che subentrò ad un amico nella redazione della rubrica dedicata al cinema. Secondo la sua testimonianza la Casa del Fascio bolognese era un eccellente "centro di mormorazione" (abitudine introdotta dallo stesso Longanesi?) contro i vari gerarchi, colpevoli di fare incetta di prodotti razionati o di pavoneggiarsi nelle loro divise fiammanti, scimmiottando le pose del Duce.

Approfondimenti
  • Rossano Pancaldi, L'Università Fascista di Bologna e Giovanni Gentile. Una conferenza inedita del 1930, in: "Giornale critico della filosofia italiana", 91 (2012), pp. 82-124
  • Renzo Renzi, La città sentimentale, Bologna, Edizioni della provincia di Bologna, 2005, pp. 117-121
  • Simona Salustri, L'Università fascista di Bologna: un modello di Accademia per il regime?, in: Accademie e scuole: istituzioni, luoghi, personaggi, immagini della cultura e del potere, a cura di Daniela Novarese, Milano, Giuffrè, 2011, pp. 379-395